Il Teatro NO

 

  • I criteri estetici del dramma classico giapponese furono fissati da Zeami Motokiyo (1363-1443) nei primi decenni del XV secolo; l'opera di Zeami e del padre di questi Kan'ami Kiyotsugu (1333-1384), e non ultimo l'interessamento di Ashikaga Youshimitsu, shogun dal 1368 al 1394 e Gran Ministro di Stato fino alla sua morte nel 1408, determinarono la nascita della prima forma compiuta di teatro in Giappone, sintetizzando la plurisecolare evoluzione delle forme di intrattenimento e spettacolo verificatasi fin dal momento in cui la maggior parte di queste fu introdotta nell'arcipelago dal continente intorno all'epoca di Nara (710-784). È lo stesso Zeami, riassumendo le tradizioni che riguardano le origini religiose e la storia del Sarugaku, ad affermare che «cercando le fonti della pratica del Sarugaku-Ennen, sinonimo di Sarugaku, che in Zeami indica l'arte del nò; Ennen, letteralmente «longevità», «prolungamento della vita», indicava allora l'insieme delle danze eseguite nei templi buddhisti in occasione delle feste ° ci viene detto che essa trae origine dalla patria del Buddha, o anche che ci è stata trasmessa da una tradizione che risale all'epoca degli Dèi».Zeami allude probabilmente a quello che considera essere stato il primo Sarugaku, l'episodio del «divino divertimento» riportato nel Kojiku, che la tradizione ricollega all'origine delle «Kagura».La danza oscena eseguita da Ame no Uzume no Mikoto, antenata delle danzatrici sacre, davanti alla caverna ove s'era rinchiusa Amaterasu O mi Kami, la «Grande divinità che illumina il cielo», provoca il riso delle ottocento miriadi di Dèi e la conseguente uscita di Amaterasu. I due caratteriche compongono il termine Kagura Kami, divinità e Raku, Gaku, piacere, riposo, ricreazione, (musica, indicherebbero appunto questa primordiale «ricreazione degli Dèi».Va comunque chiarito che Zeami, nel ricollegare le Kagura al suo sarugaku, cercava probabilmente di «nobilitare» quest'ultimo, servendosi fra l'altro di complicate speculazioni etimologiche: per Saru egli non usa il carattere, che significa letteralmente «scimmia», ma quello che designa la scimmia nello zodiaco; rileva poi che questo entra nella composizione di Kami, a sua volta componente di «Kagura». Al di là dei giochi di prestigio etimologici di Zeami, motivati forse dal fatto che «Sarugaku» nella sua forma corretta ha il significato letterale di «danza di scimmie», è opportuno sottolineare la presenza, già in questa antichissima tradizione, della danza, che con l'elemento religioso si manifesta fin da tempi molto antichi come base nella evoluzione del teatro giapponese. Ancora secondo ZEAMI, è proprio la danza, con il canuto, l'essenza del no.Le forme di intrattenimento anteriori al XIV secolo si originano infatti generalmente da cerimonie religiose connesse ai cicli produttivi rurali, assumendo gradualmente la forma di danze Folkloristiche o primitive commedie. Così, alle origini del teatro sono daconsiderare le Uta Gaki lett. «Siepi di canzoni» e le Ta Mai «danze di risaie», come il Gigaku, tradizionalmente importato nel 612, vero e proprio spettacolo legato alle funzioni religiose delle comunità buddhiste.In epoca Heian (794-1185) le forme di spettacolo si evolvono ulteriormente: il Bugaku (danza e musica), di proverrienza continentale, forse anche indiana - vedi l'allusione di Zeami alla «patria del Buddha» - era originariamente costituito di danze simboliche dal contenuto più o meno religioso; affermatosi presso vari templi Buddhisti e accolto anche a corte, questo genere conobbe il favore del pubblico durante tutta l'epoca di Kamakura (1185-1333), ma di un pubblico dotato di cultura raffinata, perlopiù composto di cortigiani. Maggior favore fra la gente comune incontrava il Sangaku; con questo termine, di provenienza cinese, si indicavano tutte le forme di intrattenimento popolare, in quanto opposte a quelle classiche o cerimoniali di corte. Nel linguaggio popolare, al termine colto sangaku fu preferito quello di SARUGAKU, di cui si è visto il significato letterale. Il Sarugaku comprendeva spettacoli da fiera: vi si esibivano acrobati, giocolieri, ammaestratori di animali, funamboli, e burattinai. Riguardo a questi ultimi, i «Kugutsu Mawashi», «manovratori di marionette», sono alla origine di un altro grande ramo del teatro giapponese. NelXVI secolo alcuni componenti delle compagnie che recitavano gli oruri (ovvero quel tipo di storie declamabili come il oruri Monogatari, tradizionalmente attribuito a una ancella della moglie di Oda Nobunaga), accompagnati dal suono dello shamisen, si associarono ai celebri burattinai del tempio di Nishinomiya a Ebisu; nasceva così 1'Ayatsuri oruri, il joruri «manovrato», chiamato poi Ningyo Shibai, una sorta di teatro dei pupi. Sotto l'influsso del Sangaku si sviluppò anche, originariamente in un ambito rurale, il Dengaku , «musica delle risaie». Doveva trattarsi anticamente di uno spettacolo tipicamente contadino, fatto di danze e musica intese a celebrare culti locali e scadenze della economia agricola giapponese; ben presto il Dengaku penetrò fra le forme di spettacolo connesse alle celebrazioni dei templi, cominciando a strutturarsi in confraternite, cui aderivano i cosiddetti Dengaku Bósii, «bonzi del Dengaku». In epoca Kamakura il Dengaku raggiunse l'apice del suo favore presso il pubblico, composto allora principalmente dalla piccola nobiltà locale. Il Dengaku nel corso della sua evoluzione rimase sempre fondamentalmente caratterizzato dalla danza, ma inevitabilmente il patronato della classe guerriera introdusse un repertorio epico e sempre meno spontaneo. Nel frattempo il Sarugaku pur evolvendosi, conservava il suo carattere menoimpegnativo: ancora nel 1349 alcuni dengaku bos i interpretavano dei sarugaku come intermezzi comici fra le loro opere, attribuendovi in pratica la funzione che sarà caratteristica dei Kyogen, le forze intercalate ai no. Verso la fine dell'epoca di Kamakura nell'ambito teatrale entra in uso il termine «NO», relativamente al Dengaku e al Sarugaku. Il carattere cinese nèng, la cui lettura giapponese è appunto «no»,,esprime il concetto di POSSIBILITA, CAPACITA. Riferito alla interpretazione dell'attore, assume il significato di «potenziale artistico», TALENTO.Si comincia così a parlare intorno alla fine del XIII secolo di Dengaku No No e Sarugaku No No, come forme evolute dei due generi, oramai prossime al teatro vero e proprio: nei Dengaku no no -dell'epoca compare già il «Waki», uno dei ruoli di attore del no, e il «Tayú», che sembra corrispondere allo «Shite». È questa l'epoca d'oro del Dengaku, illustrata fra l'altra da quell'Itch-u che lo stesso Kan'ami considererà proprio maestro. Dopo il 1350, tuttavia, il Dengaku no no cede di fronte all'avanzata del sarugaku informato di Kan'ami e Zeami. È dunque certamente corretto considerare il no propriamente detto come frutto della evoluzione brevemente illustrata, ma l'opera del maestro e attore di sarugaku Kan'ami Kiyotsugu e soprattutto quella del figlio Zeami provocarono un brusco balzo in avanti di tale evoluzione. Il terzo shógun degli Ashikaga, Yoshimitsu, assistendo ancora 17enne a uno spettacolo di sarugaku, fu favorevolmente impressionato da una danza rituale eseguita da Kan'ami, tanto che lo volle con sè a corte insieme al figlioletto Fujiwaka di undici anni, che diverrà poi noto come Zeami. Zeami Motokiyo tramanderà poi in una serie di trattati tenuti a lungo nascosti al pubblico, l'assetto definitivo del no. In questi scritti il vocabolo prende gradualmente il significato che conserva ancora oggi, sostituendosi a«Sarugahu no No», designando cioè quello che impropriamente si traduce con «dramma classico giapponese». «Nó» vale quindi in senso generale come definizione di questo genere di spettacolo, e indica ognuna delle singole rappresentazioni. Resta da stabilire in che cosa consistesse un no. Renè Sieffert propone la definizione di «lungo poema cantato e mimato, con accompagnamento orchestrale, generalmente interrotto da una o più danze che possono non avere rapporto alcuno con 1'argomento». I no si svolgevano anticamente all'aria aperta, entro strutture isolate, e sebbene si sia persa questa consuetudine, le caratteristiche generali della scena si sono conservate pressoché immutate. Gli stessi pilastri che sostengono il tetto hanno una funzione intimamente legata allo svolgimento dei drammi, poiché delimitano lo spazio d'azione e la collocazione dei vari attori del coro e dell'orchestra; servono inoltre come punti di riferimento, necessari per la scarsa visibilità che consentono le pesanti maschere. La scenografia è di ispirazione zen, improntata a un semplice simbolismo; del resto nella maggior parte dei casi sono i versi stessi del testo, l'intervento dell'orchestra e del coro, a suggerire immagini allo spettatore. Talvolta si ricorre ad accessori simbolici, il protagonista stesso con il suo ventaglio può evocare oggetti o sensazioni d'ogni genere. Orchestra e coro «servono» e completano l'opera del protagonista, evocando una particolare atmosfera. Il protagonista (sempre un uomo, come tutti gli attori, anche nella interpretazione di ruoli femminili) che si serve di tutto ciò per la sua recitazione, che danza, canta, e si muove su tutto il palco attirando su di sé l'attenzione del pubblico, è lo Shite, «colui che agisce», personaggio secondario è il Waki, il «laterale»; generalmente un monaco, la cui presenza è fondamentale, in quanto tramite fra lo Shite e il pubblico [lo Shite è una «visione» del Waki].Solo lo Shite danza o mima, il Waki si muove dal suo posto (il Wakiza) nella misura in cui è necessario provocare con un gesto o una frase l'azione dello Shite.Shite e Waki provengono da scuole diverse, e i primi, veri ed unici protagonisti del no, sono chiaramente oggetto di una più alta considerazione. Figure minori, quali Tsure, «accompagnatori», e Tomo, «compagni», compaiono poi sulla scena.Le maschere carattestiche del no, corrispondenti a una serie di tipi piuttosto limitata, influenzano notevolmente la tecnica di recitazione, rendendola stilizzata per la esclusione dell'intervento della espressività del viso. Fra le regole essenziali del no vi è, per Zeami stesso, la spersonalizzazione dell'attore, che viene realizzata anche dalla maschera: nella parte dei suoi trattati relativa alla mimica, egli osserva come la recitazione a viso scoperto sia possibile solo per l'attore giunto a una elevata capacità di controllo: «...è con il contegno, con il portamento, che bisogna imitare il proprio personaggio. In quanto al viso, gli si conserverà il più possibile la sua espressione naturale, senza contrattarlo». Generalmente uno spettacolo è costituito da cinque nó, alternati a tre Kyógen, le «farse» classiche che come si è detto si originarono dagli antichi Sarugaku. Apparentemente i Kyogen - eseguiti da attori provenienti da corporazioni separate da quelle di Shite e Waki - assolvono alla funzione di riempitivo fra un no e l'altro; la loro presenza è in realtà indispensabile all'equilibrio dello spettacolo. Genere leggero, i Kyogen alleviano la tensione e la stanchezza provocate dai nó, di cui spesso sono parodie.La tecnica del mantenimento di questo equilibrio fu oggetto di studio da parte di Zeami; già nel Bugaku si erano teorizzate delle regole fondamentali, tendenti a sintonizzare la recitazione con il grado di ricettività del pubblico. Si era così sviluppato il principio «Jo-ha-hyú», (preludio, sviluppo, finale), che costituì l'ossatura delle rappresentazioni no. «Questa progressione Jo-ha-kyn, presa dalla musica, si ritrova in ogni cosa» afferma Zeami, «ma soprattutto in poesia e in coreografia, dunque necessariamente nel nó». Jo è letteralmente l'introduzione, l'inizio, l'opera necessaria a fissare l'attenzione del pubblico appena riunitosi. «L'opera preliminare è un preludio» dice Zeami «da interpretarsi senza troppa minuziosità». Ha significa letteralmente «frantumare, sbriciolare, sparpagliare», cioè spiegare in dettaglio, senza fretta - La fase «Ha» è la centrale, più impegnativa, quella che toglie più energia allo spettatore [in particolare, i tre lavori centrali sono Ha-jo, ha-ha e hakyu, secondo una ulteriore particolarizzazione della progressione]. Kyú, «rapidità, precipitazione, parossismo», è il finale, che condensa lo sviluppo in un movimento rapido, restituendo le forze al pubblico. Il ritmo della interpretazione rallenta quindi progressivamente nella prima metà dello spettacolo, per accelerare nuovamente nella seconda. La progressione Jo-ha-hyu si trova applicata in modo più o meno rigoroso nella composizione di tutti i no. Per designare i suoi trattati, Zeami si serve della espressione «Hiden, », «segreto», nel 1400 egli decide di mettere per iscritto la «tradizione segreta del Sarugaku no nó». Compaiono così i primi tre libri del Fushi Kaden («Del trasmettersi del fiore dell'interpretazione»), detto pure Kadensho, il «libro del trasmettersi del fiore», al quale si aggiunsero man mano una ventina di testi. Le opere di Zeami rimasero effettivamente segrete per quasi cinque secoli, fino a quando ne vennero pubblicati degli stralci dal filologo giapponese Yoshida Tógo nel 1909. Nei trattati è tramandata la teoria fondamentale del no secondo l'interpretazione della scuola Kwanze, fondata da Kan'ami Kiyotsugu.Abbiamo già sottolineato i rapporti che probabilmente erano intercorsi fra quest'ultimo e l'attore di dengaku Itchú. Fu proprio il Dengaku ad avere un peso notevole nelle informe di Kiyotsugu e Zeami. Genere favorito a corte prima di Yoshimitsu, il Dengaku si era andato eccessivamente soffermando sul concetto dello «yngen», l'ideale estetico affermatosi nella poesia in epoca Kamakura. I caratteri cinesi Yu [oscuro, segreto, sottile, misterioso] e Hsúan [, nero, profondo, lettura giapponese «Gen»] esprimevano l'idea di mistero, impenetrabilità, profondità.Muccioli propone la definizione di «risonanza lirica piena di arcano»; lo yngen fa sì che i sentimenti si rivelino «in profondità», al di fuori del potere della parola, in un gioco sottile di suggestioni, «vibrazioni». Nel teatro, lo yngen sgorga dalla recitazione, viene comunicato allo spettatore dalla semplicità profonda del vero attore. Allontanatosi sempre più dalla realtà, smarrito nello yugen, il Dengaku era agonizzante; Kan'ami, secondo le parole del figlio, fu capace di «far sbocciare i fiori sopra gli scogli», combinando lo yngen [che comunque è alla base dell'ideale estetico del no con la comunicazione mimata. Kan'ami creava un compromesso fra la maniera di comunicare rozza del Sarugaku e «1'incanto sottile» del Dengaku. Ma il principio ché domina tutta 1'opera di Zeami è la «regola della concordanza» [Soo, il principio dell'adattamento all'ambiente. Zeami si rese conto all'inizio della sua carriera che non gli bastava riprendere le opere del padre, di quel padre che «faceva sbocciare fiori sugli scogli», per ottenere il favore del pubblico. Nei suoi scritti enunciò così la necessità di questa «concordanza» fra l'attore e la sua epoca, tra l'autore e l'attore, tra questi e il pubblico. Onde realizzare questa concordanza l'attore deve possedere a fondo la tecnica della sua arte, essere conscio del suo posto nella gerarchia idealizzata da Zeami nel Kyúi-shidai, la «scala dei nove gradi». Questi gradi sono una sorta di tappe della formazione professionale, corrispondenti ad altrettanti tipi di opere eseguibili e di rapporti con il pubblico. Il grado della maturità suprema è «lo stile del fiore meraviglioso», che verificatosi nell'attore riesce a produrre nello spettatore una sorta di estasi indefinibile; lo conquista lasciandolo senza parole: «In Shinra, a mezzanotte, il sole splende». Il meraviglioso è 1'ineffabile, è il punto in cui il cammino del pensiero si distrugge. «Il sole a mezzanotte» è ancora forse una nozione che la parola possa definire? Che cosa significa? Lo stile fatto tutto di incanto sottile, che va oltre ogni elogio, di un maestro prestigioso della nostra via, l'emozione oltre ogni coscienza [che suscita] l'effetto visivo prodotto da uno stile di un grado che va oltre ogni grado: ecco di conseguenza, di che cosa sarà fatto il fiore meraviglioso».

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