Il movimento che doveva sciogliere il Giappone da secoli di vincoli militari che ne avevano determinato ogni decisione fu opera di pochi samurai, daimyo di Satsuma, Choshii, Hizen e Tosa. Pochi di loro superavano i trent'anni, ma dimostrarono di saper compiere per il loro paese assieme alloro shogun un atto gran- dioso, forse superiore all'eroico seppuku. Anche se le dimissioni dello shogun furono umilianti, tanto da suscitare la reazione degli antichi samurai che lo sostenevano, tuttavia gli eventi erano maturi per una radicale trasformazione. Tokyo diventa la capitale orientale in antitesi a Kyoto, quella occidentale; vengono aboliti i feudi (1871) e tutto il territorio è diviso in dipartimenti che contribuivano con un contingente di forze all'esercito nazionale. Molti degli antichi samurai diventavano soldati del nuovo Giappone. La classe che per secoli era stata la prima per la nobiltà che dava ad essa la spada, accettò di arruolarsi a fianco del popolo. Ma quando un'altra legge (1876) interdì ai samurai l'uso del simbolo più caro, la spada, scoppiarono rivolte a Kumamoto e Hagi. Un gruppo di samurai, dopo aver ucciso circa trecento guardie del castello, fece hara-kiri pur di non vedersi privati della loro spada. L'avvenimento ebbe un eco a Satsuma dove trentamila uomini, armati con le antiche spade e le armi moderne, decisero di restaurare la classe militare. Erano comandati da Saigo Takamori, uno dei fautori della restaurazione. Settantaseimila soldati imperiali combatterono contro gli insorti e li sconfissero (1877). Ma i samurai seppero finire eroicamente il loro lungo dominio. Saigo Takamori, ferito a una gamba ordinò a un suo fido di tagliargli la testa, mentre i suoi compagni morirono combattendo o si uccisero piuttosto che arrendersi. Iniziavano ora le lotte per un nuovo tipo di potere. Il governo era infatti nelle mani di una stretta oligarchia formata dai due ex-daimy6 di Satsuma e Choshii. Le antiche lotte feudali, non sopite, tornavano sotto nuova forma. Il Giappone feudale si riaffacciava nella lotta non più per una provincia o un castello, ma per un Ministero o una Presidenza, non più sui campi di battaglia ma sulle colonne di giornali. Il Giappone dei samurai e del bushido, il paese delle due spade, continuava a esistere anche nel nuovo Giappone. L'imperatore Meiji nel 1890 scriveva alla nazione: aumentate il bene pubblico e promuovete la prosperità e il benessere di tutti; abbiate sempre in onore la costituzione e osservate le leggi dell'impero; se la necessità lo richiede, offrite coraggiosamente la vostra vita per il bene della patria. Era stato il senso di inutilità e la perdita del prestigio, che aveva minato i rapporti di fedeltà e lealtà che legavano i samurai al loro superiore, a spingere la classe dei samurai a prendere parte attiva ai cambiamenti del loro paese. Quando infatti il governo militare non fu più in grado di controllare la situazione, le corporazioni dei samurai, rispettando il loro senso del dovere, giri, proclamarono la necessità di ripristinare un interesse nazionale contro quello del bakufu. Infatti, se il samurai era finito come figura storica, rimaneva ancora vivo il suo spiccato senso del dovere, che si volgeva ora al bene della nazione. Fu così che gli ideali dei samurai continuarono a esercitare una grande influenza nella storia del paese. Abolito il feudalesimo dalle riforme Meiji e aboliti così anche i loro stipendi, i samurai per breve tempo vissero da pensionati. Quando poi, nel 1874, queste furono liquidate con una somma forfettaria, i samurai vennero esortati a trasformarsi in imprenditori commerciali e industriali. Le antiche abitudini all'obbedienza fecero in modo che la classe dei samurai, grazie agli incentivi economici e alla liquidità derivante dalla capitalizzazione delle pensioni, si trasformasse in una moderna classe imprenditoriale. La grande imprenditoria giapponese non provenne, quindi, dai vecchi mercanti o usurai dell'epoca Tokugawa, ma da quei samurai che a questa trasformazione si adattarono perchè tale era il volere dell'imperatore. I samurai divenuti imprenditori trasferirono nella nuova attività gli usi e i costumi caratteristici della loro classe, contribuendo così a formare quelle particolari relazioni industriali di mercato del lavoro che caratterizzano la civiltà giapponese e ne fanno un unicum nel mondo. La mentalità del samurai quindi, non solo ha resistito ai cambiamenti, ma si è trasferita nei rapporti interpersonali delle organizzazioni giapponesi, nelle relazioni industriali e in quelle di ogni settore lavorativo. Per questo si parla spesso di una "samuraizzazione" del lavoratore giapponese, in quanto ogni dipendente tende a comportarsi, con il suo datore di lavoro, come il samurai si comportava nei confronti del daimyo, con rispetto stretto della gerarchia e assoluta fedeltà all'azienda. Così come si erano formati i clan guerrieri, i samurai si trasformarono in una nuova classe dirigente che passò alla guida della nazione e fece in modo che gli antichi valori del bushido venissero trasmessi alle nuove classi del paese. I concetti di sottomissione, lealtà, obbedienza, che legavano il samurai al signore si trasformano nella devozione dei funzionari verso il governo e verso le industrie. Lo spirito degli antichi guerrieri permeava ormai tutti gli strati della popolazione che aveva ereditato quei valori che per secoli erano stati la prerogativa dei samurai. L 'antico rapporto samurai-signore si è quindi trasformato ed applicato all'odierna produttività del mondo industriale e finanziario dove il datore di lavoro mantiene molte delle caratteristiche del signore feudale, mentre i dipendenti mostrano la stessa devozione ed obbedienza tipica dei samurai. Come scrive Maraini: «n Giappone si è modemizzato ma poco occidentalizzato. Ha indubbiamente assorbito dall'Occidente tecnologie e procedimenti operativi, ma il suo sostrato tradizionale non ha perso la propria identità». L'animo del moderno giapponese rispecchia infatti ancora oggi nei princìpi basilari dell'attuale società il rispetto per il proprio passato e la propria tradizione che nessun influsso occidentale potrà annullare.Persino l'antico scintoismo con la sua filosofia vitalistica, si trasforma nell'aggressività industriale e commerciale, nella frenesia produttiva che contraddistinguono il Giappone moderno. Il lavoro viene infatti concepito dal giapponese come l'estrinsecarsi della propria abilità, per cui il lavoro è "la cosa da fare" e il successo ottenuto in questo campo non è altro che la testimonianza di un benefico influsso dei kami, che premiano l'operato dell'uomo ligio al suo dovere. n vecchio concetto di giri, che per il samurai implicava la devozione e lealtà al signore, oggi è diventato la somma dei doveri di un uomo verso la società. Se un individuo non riesce nel proprio lavoro, fallisce nei suoi doveri verso la famiglia, verso il suo superiore, verso il suo paese. Ed è proprio su questo senso del dovere che si basano le industrie e tutto il sistema lavorativo del Giappone. Il culto del gruppo e della comunità, che è stato anticamente rafforzato dal clan dei samurai, continua a essere al centro di ogni attività giapponese per cui il concetto di privato, kojin, sconfina quasi con l'egoismo. Anche il concetto di posizione personale nella società, mibun, ricorda le antiche stratificazioni sociali che erano determinate dalla nascita e che ancora oggi sono fortemente sentite nella società. Là stessa etica dei samurai, difficile da seguire perché implicava il mantenimento di un equilibrio che poteva facilmente sconfinare nell'arroganza e nell'ingiustizia, oggi sembra ricomparire nei difficili equilibri politico-finanziari del moderno Giappone. Il concetto di umiliazione, che per il samurai significava perdita dell'onore, nel Giappone moderno si è trasformato nell'estrema sensibilità del giapponese verso tutto ciò che può sembrare una critica al suo operato. Criticare il lavoro del singolo comporta una svalutazione dell'intero gruppo di appartenenza per cui l'umiliazione personale viene trasmessa automaticamente dal singolo al gruppo di lavoro, alla sua professionalità. Anche il controllo delle proprie emozioni, che tra i samurai arrivava a livelli estremi con il seppuku, è ancora un fattore dominante nel Giappone odierno in quanto un buon autocontrollo permette di ottenere risultati sempre positivi e quindi è indice di una maggiore efficienza. Esistono quindi molti modi per far rivivere lo spirito dei samurai, ma in effetti si tratta di uno spirito che nella realtà non è mai scomparso dall'animo di ogni giapponese e ha permesso al loro paese di portare avanti con tenacia e persistenza i più ardui obiettivi. Se la mentalità dell'uomo giapponese non fosse stata abituata da secoli di dominio militare a obbedire, a
rispettare le decisioni superiori, a vivere e operare per la collettività a scapito della
propria individualità, il Giappone non avrebbe ottenuto i risultati che ha raggiunto nell'ambito mondiale. Oggi ogni buon cittadino giapponese, come l'antico samurai, si sente obbligato verso la famiglia, verso l'azienda, verso lo Stato per i molti benefici che ne riceve, per cui si adopera al suo meglio nell'adempimento dei propri doveri coltivando quei sentimenti di fedeltà, onore, rispetto, lealtà che formavano il codice d'onore della più famosa classe guerriera del mondo, quella dei samurai. Sotto la vernice occidentale il Giappone continua a mantenere quindi molte delle caratteristiche che lo hanno contraddistinto nei tempi più remoti. Il samurai fa parte indubbiamente del suo passato e la figura del guerriero leale e coraggioso ha ben rappresentato il Giappone in tutto il mondo, tanto che ancora oggi il termine richiama alla mente le immagini di combattenti fieri e silenziosi, pronti a tutto in nome della fedeltà e dell'onore. Abili nelle armi e nella lotta, essi furono gli artefici di molte delle arti marziali che ancora oggi trovano tanti discepoli anche in Occidente. Combattevano in nome dell'obbedienza al superiore per il quale non esitavano a sacrificare la propria vita, considerata di poca importanza se paragonata alla perdita dell'onore. Diffusero le tecniche della meditazione che avevano appreso dai monaci zen e insegnarono come la forza fisica non ha alcun valore se non viene unita con quella psichica dell'individuo. Gli antichi guerrieri, la cui classe si era venuta formando nel IX-X secolo, dopo essere stati al potere per circa otto secoli, restituiscono il comando al discendente della dea Amaterasu e si trasformano in soldati dell'esercito e in leader industriali. Perciò nessuno studio sul Giappone moderno può prescindere dall'esame di questa figura che è stata una componente fondamentale per il paese.