Aikido e Psicosomatica


  

Introduzione alla Medicina Psicosomatica

  • Insegno da molti anni, ma spesso e volentieri mi imbatto in domande che gli allievi mi propongono in merito al loro stato di salute visti i miei trascorsi universitari di medicina. Qualcuno soffre di colite, qualcun alto di sovrappeso, altri di ernia iatale così via,  più  frequenti sono invece gli atteggiamenti ed i vizi di posizione, le difficoltà di coordinazione dei movimenti per l’esecuzione delle tecniche, rigidita alle ginocchia, la mancanza di un uso della pelvi per esempio,  quelli che i maestri chiamano  come anca.
  • Il problema in tal senso e quello di una mancanza di relazione con la propria visceralità. Per cui il deficit  funzionale del movimento per l’acquisizione della tecnica è da ricercarsi nell’atteggiamento mentale dell’allievo, prima ancora che nell’espressione neuromotoria. Per cui occorre far riferimento per i problemi in questione ad una branca della medicina, appunto la Psicosomatica.
  • È chiaro che la materia in questione spetta al professionista del settore medico, pur tuttavia all’insegnante di Aikido  sarebbe utile conoscere alcune sfaccettature degli argomenti  in questione per meglio pianificare la crescita degli allievi di cui è responsabile, senza commetterre errori catastrofici. Ma ancora più in generale  alcuni di loro parlano continuamente durante l’allenamento, per esempio in questo caso siamo di fronte ad un soggetto ansioso,  altri ancora invece mostrano una rigidità nelle posizioni, o negli atteggiamenti, in quel caso può dipendere dall' aver subito una educazione molto rigida dei genitori, per cui l'insegnante dovrebbe porsi in modo differente da come si pone con un sogetto poco disciplinato. Qualcun'altro  rifuge dagli angoli del tatami perchè claustrifobico, altri hanno difficoltà a gridare  durante gli esercizi del Tori Fune;

Vi siete mai chiesti il perché?

  • Che suggerimenti date ad un allievo che vi dice di avere la pressione leggermente alta, o leggermenete bassa,a chi soffre di vertigini e talvolta capogiri durante le cadute, o chi deve rinuncirare alle lezioni perche affetto da coliti spastiche, stipsi (stitichezza), o peggio bradipnea neurogena di natura emotiva.
  • Con questa  questa rubrica cercherò di darvi delle  indicazioni generali di orientamento in modo che insegnante possano  costruire una idea diversa nell'interazione con l'allievo.

Ricordate che la didattica non è solo ciò che si insegna ma  ma  ...COME si insegna.

  • Dietro i nostri disturbi apparentemente fisici, c'è sempre un linguaggio misterioso, ricco di significati, di senso. Sono in realtà i  nostri disagi esistenziali che spesso non potendo esprimersi perché imbrigliati in rigidi schemi mentali  trovano una via di fuga  attraverso una espressione corporea somatizzando. In altre parole potremmo dire che i disturbi psicosomatici sono in realtà  le parole che non osiamo dirci. Comprendere i sintomi che ci affliggono, il loro significato, può contribuire ad allontanarci dall'abuso di psicofarmaci che contraddistingue questa epoca, ed ad avvicinarci sempre di più al centro di noi stessi, “al Sé”, dove avviene incessantemente quel misterioso salto  dalla mente al corpo", di cui parlava Freud. Il nostro corpo è una foresta di simboli ed  ogni disturbo rappresenta  anche la nostra interiorità, il nostro modo di stare nel mondo, di vederlo di sentirlo di stare  con se stessi e con gli altri. È  un invito a prendersi cura di sé, ad allargare lo sguardo, a vivere "altre vite" che ci spettano e che stiamo ignorando o reprimendo. La via del benessere  non dipende dai ragionamenti, ma dalla nostra creatività, dalle nostre fantasie, dal nostro immaginario, dalla nostra capacità di dare spazio ai sogni, alle fiabe, ai miti.
  • Da dove nascono le forze che ci abitano ? Quale misterioso progetto cercano di realizzare? E come dobbiamo viverle per stare bene? Quando un sintomo si affaccia nella nostra vita subito percepiamo la sua  duplice natura: da un lato  fa parte del nostro corpo, e tuttavia lo percepiamo come una presenza strana,  nemica, che può destabilizzarci,  distruggerci. La sua comparsa interrompe il flusso esistenziale nel quale eravamo calati, altera un equilibrio, spezza un ritmo. La prima reazione è sempre quella di cacciarlo via al più presto. La sensibilità di ognuno è  differente: qualcuno  si allarma per un lieve mal di testa, qualcun altro  invece si preoccupa solo  di fronte ad una malattia conclamata. Superata la soglia individuale di allerta, il sintomo si impone tuttavia alla coscienza e chiede attenzione. È in quel momento che sentiamo di essere abitati da forze che non siamo abituati ad ascoltare e sulle quali percepiamo di non avere alcun potere personale, sia che ci sembrino provenire dalle nostre profondità biologiche sia che giungano da un esterno non definibile. Un'esperienza forte, sgradevole, paralizzante

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La salute immaginaria

  • Noi siamo soliti concepire la salute in modo limitato , cioè come assenza di sintomi e di dolore: Vivere senza malattie : il semplice  "funzionare bene", così da poterci muovere senza limitazioni, un bene prezioso una libertà immensa e cristallina, di cui spesso ci rendiamo conto solo quando  ci ammaliamo. Ed è proprio , nel momento in cui manca, che essa ci si rivela le sue valenze pratiche, racchiuse nella parola latina da cui deriva, “salus” salvezza (dal dolore, dalla malattia, dal male) e conservazione (nel tempo, nello spazio, nell'azione). Eppure questa è una condizione che, per natura, non è costantemente presente. Basta osservare la propria vita per constatare  l'alternanza di periodi senza  problemi   periodi fortemente sintomatici. Nella storia dell'Uomo non esistono casi  in cui la malattia non si sia manifestata almeno una volta nell'arco dell'intera esperienza individuale: lo rivelano i dati clinici attuali, i testi dell'antichità, gli scheletri dell'età della pietra. Sembra esserci una legge di natura per la quale prima o poi qualcosa debba giungere ad alterare il nostro equilibrio vitale, anche quando tentiamo di tutto per evitarlo.

La malattia: danno e opportunità

  • La malattia è un'interruzione del nostro vivere: separa il tempo in un "Prima" da un  "Adesso", doloroso e confuso. All'improvviso, ecco un'influenza che ci butta a terra per un settimana o un'appendicite acuta che ci porta dritti in sala operatoria, oppure un'anemia che ci indebolisce e ci obbliga ad angosciose ricerche diagnostiche. A volte, un'osservazione più attenta può rivelarci che la nostra vita non scorreva proprio del tutto tranquilla, e che, forse, non era del tutto nostra. Adesso stiamo male e ci sentiamo traditi dal nostro corpo, anche quando è preannunciata da mille segnali,e tutto ciò stranamente  ci coglie sempre di sorpresa , non è più una casa sicura, anzi,  ci ostacola  ci rovina la giornata ci fa  vivere il problema  con dolore, rabbia , disorientandoci e frustrandoci. Il problema è che in noi è remota  l'idea che  quella malattia possa avere un senso, anche solo biologico, potrebbe essere altrimenti. Eppure l'evoluzione naturale non ha eliminato le malattie,nonostante  intere specie viventi si siano estinte, così come diversi organi e funzioni si sono atrofizzati nel corso di milioni di anni per ricomparire, in forme diverse, in specie diverse.

Ma la malattia no.

  • Se questa fosse solo una dimenticanza o un errore, avrebbe già da tempo impedito la Vita nella sua multiformità. E invece non è così. La Vita rimescola la sua materia biologica e si afferma in modo sempre più complesso e consapevole. Dunque la malattia, per quanto dolorosa e sofferta, costituisce un momento fondamentale del vivere individuale e collettivo senza il quale paradossalmente non può esserci salute ne evoluzione, sia della materia che della coscienza. Solo così infatti la Natura spezza lo stato di cose precedente, il vecchio schema, e crea lo spazio per ricrearne un altro più adatto al presente. Viene da chiedersi ,” Se essa arriva per farci stare meglio, perché  fa così male? ,  come posso dare un senso positivo  ad un  qualcosa che mi fa stare così male con il rischio addirittura di  rischia di farmi morire?”

Lo sguardo limitato

  • Se vogliamo uscirne  dobbiamo abbandonare questa comprensibile emotività, acquisendo una visione più ampia. L'uomo è un'entità dinamica e poliedrica, in cui la psiche e il corpo esprimono la stessa realtà su piani diversi: uno più sottile (mentale, psichico e talora anche spirituale) e uno più materiale (corporeo).  La malattia e i sintomi si collocano su questa complessità in movimento, e perciò per natura sfuggono all'indagine scientifico-razionale basata sui criteri di riproducibilità sperimentale. Tutte le civiltà antiche lo avevano compreso e “ anche perché ignare dei meccanismi fisiologici” - curavano le patologie basandosi esclusivamente sulla lettura simbolica, impregnata della loro specifica cultura e della religione di riferimento. Lo sciamano guaritore non sapeva nulla del, funzionamento del corpo, ma spesso sapeva cogliere i contenuti simbolici profondi di un disturbo. Agiva su questi secondo rituali che, in quel contesto, avevano un'indubbia valenza. Molti morivano, ma la tribù si sentiva al sicuro... La medicina moderna, figlia della rivoluzione scientifica dei secoli scorsi, ha ribaltato questa impostazione: non ha alcuna considerazione dei simboli insiti nel corpo - che non sono "dimostrabili" secondo parametri scientifici - e si concentra solo sul suo funzionamento, privando così un sintomo della sua anima, e separando l'anima dal corpo. Si salvano molte vite eppure c'è tanto malessere e le patologie principali sono tutte in aumento. Entrambi questi approcci sono incompleti, perché non contemplano l'uomo nella sua compresenza di corpo e di anima, e il corpo nella sua doppia valenza di "macchina con automatismi" e di "materia ricca di senso". E quando la medicina moderna mostra qualche apertura, lo fa sempre in modo riduttivo, ritenendo che sì, in effetti, ci sono malattie influenzate in qualche modo dalla psiche, ma solo alcune, e più che altro si tratta di stress.

Un vero approccio psicosomatico

  • Per fortuna l'integrazione degli studi di psicologia del profondo ( Groddeck,  Jung,  Neumann,  Von Franz) con le straordinarie intuizioni delle religioni e delle filosofie orientali e con le sempre maggiori conoscenze della fisica moderna (quantistica e sistemica), ha portato lungo il Novecento al concepimento di un nuovo sguardo sull'uomo, nel quale la scientificità dell'approccio medico non esclude, ma anzi ha bisogno della partecipazione dei simboli profondi dell'uomo ai processi di interpretazione, cura e guarigione. Molti psichiatri hanno compreso  questa necessità,  sviluppando un modello di visione psicosomatica più rispondente 'alla natura dell'Uomo nella sua vastità e complessità. Questa visione non prevede affermazioni lapidarie ma è aperta a raccogliere  intuizioni di senso, consigli e orientamenti dall'evento-malattia, senza chiuderlo in un significato preciso e immutabile. Così, se è possibile rintracciare tappe psicopatologiche e atmosfere esistenziali comuni a quasi tutti gli individui con quel preciso disturbo, è anche vero che uno stesso sintomo può avere un senso completamente diverso, a volte addirittura opposto, per una persona rispetto a un'altra. Sappiamo tutti che mentre siamo al massimo della felicità può comparire malinconia, che a  volte sul fondo della disperazione compare la serenità, che si può essere grati alla vita e  arrabbiati con il destino. Allo stesso modo un sintomo è simbolico nel senso che, per esempio, può esprimere il desiderio e l'avversione per qualcosa un bisogno di autonomia ma anche di dipendenza, la voglia di amare e l'urlo per non essere stati amati. Il corpo, inteso come simbolo, ritorna così a essere la sede in cui gli opposti sono compresenti, come avviene, in modo sincronico, a livello psichico. E sincronicità è la parola, utilizzata per la prima volta da Jung, che meglio chiarisce questo aspetto: qualcosa che avviene non solo nello stesso tempo, ma che ha pure lo stesso senso. Così se una persona soffre di gastrite, anche a livello psichico troveremo atteggiamenti che, per analogia, sono simili a quelli dello stomaco infiammato. La dimensione d'organo e la guarigione, forse, appare più evidente quanto sia importante il modo in cui affrontiamo e curiamo una malattia. La crisi e un momento "sacro" nel quale dobbiamo fare le mosse giuste per sfruttare - ovviamente quando è possibile, e spesso lo è-1'opportunità offerta dal disequilibrio. Allontanare i sintomi con i farmaci, trascurarli, eccedere nel cercare un senso a tutti i costi durante la fa cui si applica. Lo strumento di base, basandosi sugli studi clinici e sul  lavoro di ricerca,  è detto   "dimensione d'organo". Secondo questa chiave di accesso al corpo, è depositario di immagini arcaiche e di funzioni primarie, presenti in noi fin dalla notte  dei tempi, che rappresentano l’essere al mondo": per esempio, la dimensione  dello stomaco è la  disponibilità ad accogliere e trasformare, quella del  sistema immunitario  è lo stato di allerta ecc. Si è calati in una dimensione d'organo, quando si ha in problema o un conflitto interiore inconscio che riesce ad  esprimersi  più facilmente attraverso la funzione organica a cui l’organo stesso è deputato. Quando si presenta un sintomo, l'organo in cui esso insorge "racconta" diverse  cose che possono aiutare a trovare la giusta  via di guarigione. Una guarigione, per altro, che non va intesa solo come sparizione dei  sintomi", ma come l'approdo a un nuovo equilibrio  più in sintonia con l'essenza della persona. 


 



  INTRODUZIONE ALLA BIOENERGETICA


  • Non è mia intenzione scrivere un trattato sulla bioenergetica di Lowen, anche perche non ne sarei capace,  mi limiterò invece  a riportare delle frasi chiave che diano la possibilità al praticante di aikido che fa riferimento al sottoscritto   di migliorare l'approccio all' insegnamneto o meglio alla trasmissione di una materia così complessa , che  trascende l'immaginazione dello stesso insegnante avvalendomi, di linee guida e  metodiche utilizzate da psico terapeuti illustri. Sono certo che si possano trarre riflessioni e spunti  da tali psico- metodiche, facendole convergere in una direzione formativa personale prima ancora che sull'allievo.  In tanti anni di pratica e poi di  insegnamento, spesso mi sono imbattuto in situazioni in cui l'elemento paralizzante dell'allievo non era la comprensione della tecnica, o del movimento mostrato o della cordinazione neuromotoria adatta alla sua esecuzione, ma piuttosto al suo back ground emotivo infantile che letteralmente paralizzava  ogni movimento libero e spontaneo. Da questo punto nasce la mia ricerca sulla psico-somatica- la psico analisi- psicomotricità ,  bioenergetica ect, perchè penso che possano  essere validissimi strumenti per poter dialogare attraverso la pratica dell'aikido con gli altri in genere,  ma con il discente in particolre visto che egli per primo si fida dell'insegnante. Inoltre il più delle volte la scelta dell'aikido viene fatta per motivi legati allo sviluppo della consapevolezza di se,nell'ottica di un miglioramento psico fisico,e psico emotivo e sempre più raramente in virtù delle  sue eccellenti  metodiche autodifensive.


  • Fiordineve Cozzi

 

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