Giappone e Cina

 

Giappone e Cina

 

  • Durante il governo del principe Shótoku (593-621) vennero incrementati i rapporti con la Cina soprattutto per cercare di affermare il potere del sovrano unico secondo l'ideologia confuciana. Se infatti il confucianesimo aveva insegnato il comportamento pratico, in modo da integrare l'individuo nel suo ambiente, il buddismo si presentò con un complesso di problemi che miravano a proiettare nell'uomo un'altra realtà che stava al di là del mondo sensibile. In Giappone si tentò di conciliare le azioni: pratiche e e lo stato di perfezione richiesto dal buddismo. Su queste basi fu tentato anche un riordinamento sociale per cercare di limitare il potere e le ricchezze delle grandi famiglie (daishizoku).
    Lo studioso A. M. Kanayama così descrive la struttura sociale giapponese di quel periodo:
    [..] il sentimento della collettività era fortemente sentito. La società era costituita da comunità familiari derivanti dallo stesso ceppo e da gruppi di famiglie esercitanti lo stesso mestiere. I capi delle comunità familiari erano ereditari tanto che i membri mantenevano sempre la stessa posizione sociale nella comunità di appartenenza. Una struttura così impostata comportava necessariamente il sacrificio dell'interesse individuale a quello collettivo, mentre veniva rafforzata quella venerazione per l'imperatore che sopravvisse alle più turbinose vicende. L'influenza del confucianesimo del resto convalidava la credenza che i Tenno, l'imperatore, è nakaima, cioè collegamento tra uomo e divino, in una simbiosi che ne garantisce la continuità. Intanto l'ideologia della progredita dinastia cinese dei Tang. (618-906) agiva da stimolo alla rapida evoluzione dei Giappone. Quando infatti la prima capitale giapponese venne costruita a Nara (710) fu presa a modello la contemporanea capitale cinese, Chang'an (attuale Xi'an).
    Fino ad allora la capitale giapponese era stata la località in cui il sovrano fissava la propria residenza. Fu un periodo di assimilazione della cultura cinese e coreana che permise al Giappone di compiere notevoli progressi. Assieme alla planimetria vennero anche introdotti in Giappone gli ordinamenti giuridico - amministrativi cinesi che furono inseriti nel codice Taihii, restato in vigore fino al 1868. Dal VII al X secolo il modello burocratico cinese fece da supplemento a quello di tipo familiare giapponese con la caratterizzazione dell'ufficialità e della centralizzazione. burocrazia cinese venne quindi adottata, ma riadattata in m che non furono gli esami pubblici bensì le grandi famiglie a de terminare l'affidamento degli incarichi governativi. Con la riforma Taika (645) si tentò di consolidare il potere centrale; tutte terre diventarono proprietà dell'imperatore che a sua volta le distribuì a ciascuna famiglia in base ai componenti. Purtroppo questa riforma, basata su modelli cinesi, dimostrò quanto sia difficile applicare teorie politico-amministrative a popoli di tradizioni diverse. Non si dovrebbe infatti dimenticare che l'incontro del Giappone con altre culture fece in modo di sviluppare quella che diventerà una delle sue caratteristiche dominanti, la facilità ad accogliere tutto e a rimodellarlo in base alle proprie esigenze Quando nel 794 l'imperatore Kammu (781-806) trasferì la capitale da Nara ad Heian-kyó (Kyoto),1a Capitale della pace armoniosa, la cultura del Giappone subì una profonda evoluzione e raggiunse un notevole sviluppo; l'imperatore corrispondeva ora al mecenate del nostro Rinascimento. Il nuovo ruolo politico fece di Kyóto il centro del potere e della cultura per quasi quattrocento anni, mentre una rigida gerarchia di aristocratici controllava tutte le cariche più importanti del governo. Lo spostamento della capitale venne in gran parte determinato dallo strapotere assunto dai monaci buddisti che si erano stanziati attorno a Nara e interferivano nella vita pubblica. L'imperatore costituiva frattanto nuovi organi di governo che superavano il codice Taihó e conferivano al sovrano e ai suoi più importanti consiglieri un maggior potere, per, scoraggiare le autonomie locali delle più ricche famiglie. Intanto il clan Fujiwara otteneva una posizione sempre più considerevole nell'ambito della corte a scapito, del potere imperiale. Questo dimostrava come poche famiglie potevano assumere le caratteristiche di vere e proprie istituzioni che usavano la loro autorità per controllare al meglio i propri possedimenti. Nel frattempo alle sette buddiste Tendai e Shingon, che si erano diffuse tra l'aristocrazia, si aggiunsero l'amidismo e lo zen che con il passare del tempo divennero le grandi forze spirituali del Giappone. La graduale indebolimento del potere centrale intanto andava annullando lentamente il codice Taiho, mentre si venivano incrementando i patrimoni terrieri delle famiglie più potenti. Fu casi che si formò una nuovo tipo di proprietà privata; lo shoen, che segnò il passaggio del Giappone all'età feudale.

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