Fujimoto Y. Sensei
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Yoji Fujimoto, ; segno zodiacale ariete. Laureatosi in Scienzemotorie all'Università Nihon Taikudaigaku eShihan dal 1981, ha praticato judo, kendo ed ha avuto un debole per il baseball, poi...
Maestro, vuole raccontarci come è avvenuto il suo incontro con l'aikido?
- Bisogna risalire ai tempi dell'Università . Con un piccolo gruppo di amici, tutti studenti della Nitaidai, avevamo cominciato a praticare aikido, ma il nostro club aikidoistico non era ancora ufficialmente riconosciuto dall'autorità accademica.
- A noi, costretti a girare di dojo in dojo e con pochi soldi per pagare le quote mensili, premeva avere un buon Maestro e poter praticare con continuità , all'Hombu Dojo interessava sviluppare 1'aikido nell'ambiente universitario e così, grazie anche a una serie di fortunate coincidenze - il rettore era compaesano e buon conoscente di O' Sensei , ci venne assegnato il Maestro Koichi Tohei, che all'epoca faceva parte del corpo docente dell'Hombu Dojo con la qualifica di Shihan bu jo (capoistruttore). Il nostro club aikidoistico venne ufficialmente riconosciuto ma, purtroppo, le numerose incombenze del Maestro Tohei gli impedirono ben presto di dedicarsi a noi, ed io mi rivolsi allora al Maestro Masuda, il quale venne incaricato dall'Hombu Dojo di seguire lo sviluppo aikidoistico del nostro club. Per convincerlo a prendersi cura di noi, gli dissi che non si sarebbe trattato di un grande impegno ... giusto il tempo di farci le ossa, e invece da allora il Maestro Masuda non ha più smesso di occuparsi dell'ambiente universitario, tanto che oggi è il Direttore Tecnico del Settore aikido di tutte le Università del Giappone.
Come ha poi deciso di lasciare il suo Paese e di trasferirsi proprio in Italia?
- Per la verità era un'idea che era venuta maturando già dalla fine delle scuole medie inferiori. L'aikido non c'entrava niente allora, volevo uscire dal Giappone, vedere altri paesi. Ne parlai con mio padre il quale, nascondendomi il suo disaccordo, prese tempo dicendomi che nel mondo moderno la licenza media inferiore non era più sufficiente a garantire prospettive per il futuro e che sarebbe stato meglio completare gli studi superiori. Terminato il liceo tornai alla carica. Mio padre mi diede la sua approvazione ma, questa volta, fu mia madre che prima di acconsentire volle interpellare i miei insegnanti. Avevo allora un professore che giocava a calcio nella nazionale giapponese e che aveva frequentato la Nitai dai, il quale mi consigliò di frequentarla. Mi disse in sostanza che la mia preparazione non era ancora completa e che un conto era recarsi all'estero da turista, altro era costruirsi un futuro. La Nitai dai godeva fama di Università dalla rigida disciplina e severamente formativa: se ce l'avessi fatta a superarla avrei forse avuto delle buone carte da giocare per il mio futuro e così mi laureai in Scienze motorie.
Lei è stato invitato in Italia dall'Hombu Dojo per continuare il lavoro già avviato dal
Maestro Tada e contribuire allo sviluppo dell'aikido nel nostro paese.
- Erano gli inizi degli anni '70, anni in cui in Italia il judo primeggiava ancora tra le arti marziali e il karaté era in piena ascesa.
Ci racconta qualcosa sulle difficoltà che ha incontrato nella sua opera di diffusione dell'aikido?
- Mah... non ricordo particolari difficoltà ... i problemi erano soprattutto di ordine burocratico: il permesso di lavoro, i documenti vari e cose di questo genere. Per il resto, l'iniziale mancanza di allievi, la fatica per cominciare a raccogliere un pò di praticanti... beh, tutto questo è normale. Gli inizi sono sempre difficoltosi, ma questo lo sapevo già , me lo aspettavo. Se, per esempio, uno vuole vivere cominciando a vendere accendini in un posto dove tutti hanno sempre usato solo fiammiferi, si farà fatica all'inizio, ma questo è normale, no? Però in qualche palestra, per dimostrare "sul campo" l'efficacia dell'aikido, Lei ha dovuto anche praticarlo in un modo forse pur sempre elegante, ma di sicuro un pò più "energico" di quello a cui siamo abituati. Si... più cattivo, più aggressivo... però qualsiasi cosa all'inizio è così.
- Anche in un'intervista concessa a Telelombardia Lei ha affermato che gli inizi della sua esperienza italiana furono duri.
Dal punto di vista economico "quanto" furono duri?
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- Ah... economicamente fu molto dura (e qui il Maestro ci picchia una sonora risata). Tanto per capire: io insegnavo tre o quattro volte la settimana in una palestra, avevo una sessantina di allievi e quello che guadagnavo se ne andava tutte per l'affitto di casa. Allora abitavo con uni judoka e un karateka e c'era sempre un viavai di altra gente che veniva ospitata; in pratica c'erano quasi sempre sette o otto persone. Si, ognuno divideva le spese si fa per dire ma un lavoro vero l'avevo soltanto io.Però in qualche maniera da mangiare c'era: quando c'erano i soldi si comperava... non so... una decina di chili di riso; mi ricordo che una volta abbiamo vissuto cinque o sei giorni soltanto di ciliegie; un'altra volta, era d'estate, soltanto d'anguria... anguria e sale, come si usa in Giappone... mettendo il sale diventa più dolce. Eh si, economicamente è stata dura, ma non più di tanto... eravamo giovani.
Come mai decise di stabilirsi proprio desideravo andare negli Stati Uniti, a Milano?
- Inizialmente no c’è stato un preciso  motivo, piuttosto si è trattato di un intreccio di combinazioni tant'è che io desideravo andare negli Stati Uniti, dove il maestro Tohei aveva una serie di conoscenze. A quel tempo c'era il Maestro Tada a Roma e ad occuparsi di Milano c'era un altro Maestro giapponese, di nome Kawamukai, che insegnava aikido in una palestra di judo, l'Asahi mi pare; il Maestro Kawamukai svolgeva però anche una attività commerciale ed il suo datore di lavoro, un americano di origine giapponese, era amico del Maestro Tohei, così quando, con l'approvazione del Maestro Tada, Kawamukai richiese un insegnante che potesse affiancarlo mi fu offerto di venire in Italia ed io, che ero allora terzo Dan, venni a Milano.
- Subito dopo, si tenne uno stage, forse per Pasqua, non ricordo bene, e conobbi il Maestro Tada al quale chiesi dove sarebbe stato meglio stabilirmi. In sostanza mi disse che se non ce 1'avessi fatta economicamente, avrei potuto ripiegare su Roma dove c'era il dojo centrale già avviato, il Maestro Tada a quel tempo non risiedeva più stabilmente nella capitale , se invece fossi riuscito a superare le iniziali difficoltà di inserimento, sarebbe stato meglio restare a Milano, sia per la diffusione dell'aikido nell'Italia settentrionale, sia perle potenzialità economiche del capoluogo lombardo, tanto Roma aveva già un buon numero di praticanti ed era in grado di cavarsela da sola. E così rimasi qui.
- E come è andata?
- Dapprima ho insegnato alla palestra Asahi, poi al Nippon club in via Termopili, nel '72 mi pare, dove sono rimasto per due o tre anni e dopo ho affittato la palestra del Collegio dei Padri Salesiani.
- E' cominciata ad arrivare gente, avevamo bisogno di uno spazio più ampio e, tramite un amico che aveva buone conoscenze presso le Suore Orsoline in viale Majno, ho potuto affittare una palestra allora inutilizzata nel loro istituto.
- Gli allievi sono aumentati ancora, il canone d'affitto rincarava ogni anno e così, a furia di cercare una soluzione, nell'83 siamo arrivati qui in via Porpora.
- E' andata bene, eh!
- Cambiamo discorso, Maestro, parliamo di ki...
- Macché ki - interrompe il Maestro esplodendo in una risata contagiosa
- No, Maestro, parliamone. C'è chi ci ironizza, c'è chi lo crede una sorta di forza magica da romanzo di Tolkien e chi invece pratica e non si pone il problema. Lei cosa ne dice? Qual'è, secondo Lei, il rapporto tra ki e vita quotidiana?
- "Vivo... vuol dire c'è anche ki, no? - sorride sornione.
- Forse quando settant'anni parla di ki" (in "giappaliano", n.d.r.)
- Va bene, messaggio ricevuto Maestro.
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- Torniamo ai suoi tanti anni in Italia. Nel corso di questo tempo lei è cambiato, così come è cambiato il suo aikido naturalmente, il modo di viverlo, di praticarlo e sicuramente di insegnarlo...
-  Lo spero! interloquisce
-  No, Maestro, è Lei che deve dirlo . In cosa è cambiato il suo modo di insegnare?
- Innanzitutto, alcuni sono d'accordo, altri un pò meno oggi la direttiva dell'Hombu Dojo ... è: "L'aikido è per tutti". Non solo per alcune categorie di persone, ma per tutti; deve quindi essere praticabile da tutti indipendentemente dal sesso, dall'età , dalla prestanza fisica. Quando ero giovane non la pensavo così.
- A volte arrivavano nuovi praticanti e io... beh, non che li mandassi via ma dopo un pò se ne andavano e non tornavano più.
- Vuol dire che non li respingeva, ma li poneva di fronte a difficoltà tali per cui si allontanavano da soli? Il Maestro annuisce e continua:
- Con il tempo un uomo cambia, forse è l'età o forse perché il mondo stesso è cambiato e questo cambiamento non l'ho voluto io.
- Non mi sono posto il problema: "il Doshu ha detto che 1'aikido deve essere praticabile da tutti e quindi io devo cambiare".
- Certo il Doshu è la Guida dell'aikido mondiale e noi Shihan dobbiamo seguirne le direttive; ma il problema, ripeto, non si è posto in questi termini; è stato un processo naturale. D'altra parte lo stesso Doshu dice:
- Non sono io che ho voluto questi cambiamenti, tutto è cambiato". È cambiato il mondo, sono cambiati i bisogni, la mentalità , i comportamenti e quindi anche 1'aikido; anche il modo di praticare e di insegnare è cambiato.
- In tutti questi anni Lei ha anche accumulato una grande esperienza conoscitiva dell'aikido europeo. Ogni paese, si dice, presenti delle proprie caratteristiche nel modo di praticare.
- Quali sono, secondo Lei, nel bene e nel male, le caratteristiche degli aikidoka italiani, quali, rispetto agli altri europei, i nostri lati positivi e negativi.
- L'Aikikai d'Italia presenta molti aspetti positivi ma non è stata ancora capace di svilupparsi più di tanto. Da una decina d'anni il numero degli iscritti è grosso modo stazionario e questo è un punto sul quale è necessario riflettere.
- Questo per quel che concerne la vita dell'Aikikai, ma tecnicamente qual'è il suo giudizio sugli italiani?
- Gli italiani sono bravissimi, molto bravi ma, tanto per capirci,per molti anni vi sono stati costantemente presenti tre insegnanti giapponesi. Quale altro paese europeo presenta una situazione simile?
- Quindi Lei dice che l'Italia ha goduto di una storia, per così dire, privilegiata, ha beneficiato di maggiori possibilità di crescita.
- Inoltre spesso si presentano diverse occasioni per seguire altri Insegnanti che vengono dall'estero e quindi ci sono più possibilità di verifica, di confronto con altri stili, di arricchimento del proprio bagaglio aikidoistico. Questo vale anche per noi Maestri.
- E' un pò anche se l'espressione non è la più adatta come la concorrenza. Se dobbiamo confrontarci con un'altra persona non possiamo rimanere prigionieri della nostra routine, siamo stimolati a cercare il nuovo, a crescere.
- In questi anni l`Aikikai Milano ha avuto un buon sviluppo e oggi funziona bene; abbiamo organizzato grosse manifestazioni, il numero dei nostri praticanti è aumentato; poi abbiamo cominciato ad avere rapporti con persone anche al di fuori del mondo delle arti marziali, persone che oggi collaborano con noi e contribuiscono alla diffusione dell'aikido. Tutto è cambiato e siamo cresciuti anche perché io pure sono cambiato. All’inizio, mi riferisco al settanta ho dovuto pensare alle mie necessità , d'altra parte quando una persona attraversa momenti economicamente difficili, la necessità di guadagnare assorbe la maggior parte dei suoi pensieri e non è facile pensare ad altre iniziative. Poi quando la situazione si è modificata, ho avuto al possibilità di cominciare ad invitare altri autorevoli insegnanti , ed anche attraverso la loro presenza, sono cambiato anche io ... anche tecnicamente, no? Vorrei continuare a cambiare un pò ...
- Però non ci ha detto se esistono dei risvolti negativi nei praticanti italiani. Insomma, Maestro, qual'è il maggior difetto degli italiani?
- Non è un difetto degli italiani, è un difetto comune agli occidentali: in Giappone si dice che quando uno diventa Shodan ha compiuto solo il primo passo di un lungo cammino. Da noi uno Shodan è soltanto un praticante che ha cominciato a camminare da solo, tutto qui. Qui invece quando uno supera l'esame di Shodan si considera già un Maestro. Ma anche questo modo di pensare è cambiando e cambierà ancora. Quando sono arrivato in Italia c'erano pochissimi Shodan e rispecchiavano un'altra epoca, un'altro modo di praticare, un'altra concezione. Adesso invece ci sono parecchie cinture nere, anche secondi e terzi Dan... e giovani.
- Parliamo di questioni pratiche, Maestro.
- Il notevole aumento del numero degli allievi registratosi negli ultimi tre o quattro anni nell'Aikikai Milano pone una serie di problemi, il primo dei quali è sicuramente legato al reperimento di più ampi spazi per potersi allenare.
- Noi abbiamo bisogno di molto spazio, non soltanto per poter praticare in modo adeguato ma anche per sviluppare eventuali iniziative collegate alla cultura tradizionale giapponese. Non è semplice trovare un ambiente adatto alle nostre necessità che sia anche a costi accessibili, vedremo... Apporteremo anche qualche ritocco agli attuali orari del dojo.
- Nel frattempo, Maestro?
- Andare avanti, continuare a praticare. Praticare è la cosa più difficile perché non basta praticare, bisogna vedere come lo si fa. Ecco possiamo dire che è forse questo il difetto di molti aikidoka italiani: si abituano, si "riempiono" di uno stile di un Maestro e poi non riescono più ad essere disponibili, ricettivi nei confronti degli insegnamenti di un altro Maestro. Per imparare, per acquisire ciò che di nuovo, di diverso ci viene proposto, bisogna "svuotarci" di ciò che abbiamo appreso. Ovviamente non vuol dire dimenticare le basi, gli insegnamenti fondamentali, ma per afferrare quello che un insegnante può offrirci bisogna sapersi "svuotare" se si vuole progredire davvero. In un bicchiere già colmo di vino non se ne può aggiungere dell'altro, no? La presenza di altri maestri che si sono avvicendati in passato dal maestro Masuda al Maestro Asai , hanno dato la possibilità di usufruire di un insegnamento diverso; i diversi metodi di svolgere lezioni in atmosfera piacevole, divertendosi che noi giapponesi diciamo "asobi" è molto diversa dallo spirito, dalla grinta da samurai con cui si sono presentati molti insegnanti dal Giappone : certo esiste anche quel modo di insegnare aikido, ma in quel modo l'aikido non sarebbe più per tutti.
“Questa Intervista è stata pubblicata dalla Rivista "Aikido" ed è di di proprietà dell' AIKIKAI D'ITALIAÂ
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