I samurai contro tutti
Se c'è qualcosa che manca ai samurai, questa è la paura.
ANONIMO
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Difficile immaginare la storia del Giappone senza i samurai. Loro o l'imperatore? Un'altra alternativa inconcepibile. In circa settecento anni di dominio, i samurai lasciano una traccia di ardua interpretazione. Chi erano? Guerrieri feroci o statisti senza scrupoli, che tennero in soggezione un intero popolo con le armi e la dittatura militare?
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Oppure poeti, filosofi e pittori, con un gusto quasi maniacale per la cerimonia del tè o lo Zen, che si identifica tanto con loro da risultare una presenza implicita? La vita pubblica e privata, fatta di intrighi, tradimenti e brama di potere. Conflitti umani - troppo umani - ne scossero l'animo sin dalle fondamenta. Come nell'uomo comune? Sì, ma ancora di più. Il feticismo della spada, il fratricidio, la perversione sessuale ne accompagnano le vicissitudini, ma pure la spiritualità , l'estetismo e, perché no?, la compassione.
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Furono guerrieri e servitori, rispettando la loro denominazione.
Ghost Dog, il protagonista dell'omonimo film di Jarmusch, ne riprende i toni, la dedizione nei confronti di un signore, foss'anche un esponente della yakuza, la mafia giapponese.
Lui tra un omicidio e l'altro legge l’Hagakure, un'opera garbata che tratta della conquista di sé stessi e delle regole dell'etichetta. Per capire Ghost Dog, ma anche il mondo contemporaneo, che se li vede sbucare dietro l'angolo, all'improvviso. Come se essi non se ne fossero mai andati, recando l'appassionata testimonianza di un'era irripetibile. -
Tornando con la memoria alla loro storia, che è filosofica. Agli occhi - talvolta un po' miopi - di un occidentale, i samurai, con il loro miscuglio di contraddizioni, incarnano la psicologia nipponica. Crudeli e generosi, amabili e detestabili, i samurai ci si presentano così: ambivalenti, ma non schizoidi. Si veda soprattutto Musashi, l'esponente più autentico della loro leggenda, delinquente e ambizioso, nonché saggio e ponderato. Oggi, in America e in Europa, il suo Gorin no sho è un'opera per l'educazione dei manager, e impartisce le leggi del successo. Sì, per lui il trionfo consisteva nell'abbattere l'avversario. I samurai tanto bistrattati o esaltati, a seconda del clima dell'epoca. I samurai contro i buddhisti, contro i lealisti, fautori dell'imperatore, e contro gli occidentali. I samurai contro tutti. Uno spirito competitivo, ma non sempre bellicoso, che Kurosawa sa cogliere.
I sette samurai è un abbozzo della loro alleanza, provvisoria e transeunte, con i contadini. Ritorna, alla lontana, la lega Ikko-ikki, una compagine di classi miste, antigovernativa. Ma anche in Rapsodia in agosto, testamento dell'ultimo samurai regista, si osserva il confronto imbarazzante con l'America, che poi decretò la scomparsa di questa classe sociale. I samurai non furono soggiogati dal cristianesimo, né dall'imperatore o dai monaci-guerrieri buddhisti: perirono di morte naturale, per anacronismo, davanti a un'età che poteva farne a meno. Poteva? Forse era un'illusione. Comunque sia, la loro identità venne minacciata, e loro si tolsero dalla scena senza grandi turbamenti, se non esistenziali. Da una parte la cultura, dall'altra le arti marziali: è il doppio lascito dei samurai, che furono guerrieri e artisti, studiosi e strateghi. Attratti dalla letteratura cinese, ne divorarono i classici e le cronache belliche. Ebbero sempre un occhio di riguardo per Sunzi: L'arte della guerra, infatti, gli insegnava a stare al mondo. L'uomo completo non è paralizzato dal contrasto, e coltiva diverse discipline nell'ambizione di riuscire in tutte. In questo, il samurai è l'uomo del Rinascimento: ma è una figura concreta, non esangue. Una ricostruzione archeologica ne perderebbe i tratti. Cosa sarebbe la sua grandezza, senza le contraddizioni?
E poi, la morte. L'occidentale la considera la fine del corpo, tenendola a distanza nei modi di un esorcismo frenetico e inefficace. Il samurai se la porta dietro sulla spalla sinistra, e la vede intorno a sé, sin dal momento del risveglio. E non è una metafora. Lui sa che può tramontare da un momento all'altro, e si getta con questo spirito in battaglia. Trionferà ? Può darsi. Sarà sconfitto? In tal caso, sarà ancora più vicino agli altri eroi della sua saga millenaria. Esiste un'arte del fallimento, coronata dalla solitudine. Il seppuku, lo sventramento, resta la prerogativa degli spiriti eletti.
L'amore, la vita e la morte, le passioni. I samurai ci offrono tutto ciò in una dimensione non occidentale, che stentiamo a comprendere, come ultimo avamposto del pianeta Terra, oltre il quale domina l'ignoto. I giapponesi ci appaiono strani, curiosi e imprevedibili. Ciò vale per i samurai, grazie alla loro natura multiforme. Non furono una meteora, né un evento secondario o marginale. La loro capacità di reagire agli imprevisti della vita ne attesta la statura. I samurai protagonisti della Storia, ma anche vittime. Versavano in crisi di identità , perennemente tesi all'affermazione della volontà di potenza. Cadevano, ma non erano domati; si piegavano, ma non venivano sconfitti. Furono tutto questo, e altro. Come potremmo capire, diversamente, un Minamoto Yoshitsune o un Takeda Shingen? Da scartare anche l'interesse esotico. I samurai sono distanti da noi, ma anche prossimi, modelli di una vita più autentica, non necessariamente violenta o immorale. Se non li avesse dietro di sé, il Giappone, oggi, sarebbe tutt'altra realtà .
Essi ritornano, ma non alla stregua di zombie, bensì di presenza viva e stimolante. Mishima, il più «occidentale» scrittore giapponese, ne parla sovente, proprio come Kurosawa: pur evocandoli, nessuno dei due li chiama sempre direttamente in causa. Mishima, il dannunziano, non vi allude soltanto nei romanzi, ma anche nella vita. I munga ce ne forniscono un'altra testimonianza, con personaggi storici o attuali, che pure, però, ne ripercorrono le orme.
L'introduzione dà un accenno, e vale come panoramica. L'insegnamento basilare dei samurai resta psicologico, al di là di una realtà velata dalle apparenze, le lotte e tutto il resto. Lo compendia così un maestro di scherma, Yagyu Ta-nemori, che debutta come ideale o paradigma di un'intera classe: l'arte della guerra non consiste nel vincere sugli altri, bensì su sé stessi. Cosa poteva muovere Musashi, se no?
E il samurai di oggi? Soltanto l'uomo che tende alla propria realizzazione.