L'Arte senz'arte 

 

Come  diceva Dosshu Kisshomaru Ueshiba, una dimostrazione non deve avere il fine di dare spettacolo, ma deve essere soprattutto il risultato di un modo di essere, la forma esteriore della propria interiorità. In «Zen nell'arte dell'arco» Herrigel chiama questo speciale raggiungimento l'arte senz'arte. Arte marziale cioè, senza artifici e senza materiali finalità. Per noi occidentali è difficile, in genere, non desiderare di cogliere il frutto delle nostre fatiche, ma un maestro di Kyudo dirige la freccia nel vuoto, studiatamente fuori dal bersaglio, perché il fine materiale di fare centro non lo interessa e tende, anzi, a colpire un bersaglio più nascosto e più difficile da centrare. Il vero maestro è colui che ha appreso a celare dentro di sé le perfezioni esteriori della sua abilità ed ha, per cosi dire, dimenticato tutte le tecniche, si è affinato al punto di non sembrare proprio niente di straordinario. Un noto proverbio giapponese dice: il miso che odora di miso non è un buon miso.

 

Le « pose » spettacolari non sono indice di vero raggiungimento. Il distacco dagli interessi terreni, l'ascesi, la pace interiore devono essere celate e gelosamente custodite come certi oggetti magici che non potevano essere esposti a sguardi profani, secondo talune superstizioni, perché avrebbero perso tutti i loro poteri. Il saggio che ha raggiunto l'illuminazione non si isola, non si mette su un piedistallo. Chi ha veramente completato la sua disciplina non resta nel nirvana, ma, come Buddha, camminerà tranquillo nel mondo come una intatta gemma nel fango. Una volta, quindi, che si sia raggiunto lo stadio della mente limpida come uno specchio, ebbene!, bisogna fare a pezzi lo specchio. C'è a questo proposito una storia che narrano i monaci Zen. Forse è vera, forse è stata composta intenzionalmente, chi sa?

 

Bokuden Tsukahara, uno dei più grandi maestri di spada dell'antico Giappone, aveva tre figli. Tutti e tre avevano pienamente ereditato il genio del padre ed erano maestri nell'arte della scherma.

 

Alla fine della sua vita Bokuden volle mettere alla prova l'abilità dei suoi figli. Un giorno, sedutosi nella sua stanza, mandò a chiamare il più giovane. Il figlio minore camminò per il corridoio come di consueto e aprì la porta della stanza del padre. Qualcosa, inaspettatamente cadde sulla sua testa. Prima, però, che potesse toccarlo, egli fece un passo indietro e con un guizzo di folgore colpì con la spada. Quando guardò in basso, c'era una palla tagliata in due ai suoi piedi.

 

Bokuden aveva posto studiosamente la palla sullo stipite della porta così che cadesse non appena la porta veniva toccata. « Torna pure nella tua stanza », disse il padre al figlio più giovane e mandò a chiamare il secondo. Anche questi innocentemente aprì la porta e una palla cadde sulla sua testa. Egli, però, la ricevette nella mani. Venne quindi la volta del figlio maggiore. Quando questi, però, fu per aprire la porta, percepì qualcosa intuitivamente. Prese la palla, precariamente posta sullo stipite ed, entrato, disse « Credo che tu mi abbia chiamato, Padre ». Bokuden allora chiamò presso di sè gli altri due figli. Rimproverò aspramente il minore dicendo: « Dovresti vergognarti di perdere così il tuo controllo, sia pure per un istante! ». Incoraggiò poi il secondo figlio cui disse: « E' necessario ancora uno sforzo. Applicati ad un ulteriore allenamento e non essere mai negligente ».

 

Finalmente, rivoltosi al figlio maggiore, riconobbe la maturità del suo allenamento e gli disse: « Sono lieto che tu sia degno di essere il mio successore ».

 

Ad un primo esame di questa storia non può non colpirci la meravigliosa abilità di colpire la palla, che cadeva inaspettatamente, con un sol colpo di spada. Richiama, certo, la nostra ammirazione, eppure Bokuden rimproverò duramente il figlio minore. Il fine dell'allenamento nell'arte della spada non consiste nel gloriarsi di una tecnica brillante. Un maestro di spada deve trascendere le tecniche ed ottenere la vittoria senza ricorrere nell'arte della scherma. Questo principio è vero per tutte le arti e soprattutto per le arti marziali. Chi non raggiunge questo stadio superiore non può essere considerato un vero maestro, padrone dei misteri della sua arte. Questo ultimo stadio è rappresentato simbolicamente da un cerchio che non contiene che il vuoto.

Tutte le tecniche, infatti, si riconducono ad una, il Vuoto che trascende tutte le forme