Lettera Aperta 

Lettera Aperta al Presidente in merito allo stage di formazione per insegnanti per Bambini svolto a Napoli Scampia nel Marzo del 2014  dal M° Fioridneve Cozzi e Domenico Zucco. Analisi forense di un Partecipante al seminario. 

Fu il primo anno di riprogrammazione dei Seminari svolti negli 8 anni precedenti dal M° Cozzi e Travaglini. 

 

 

Gentile presidente,
facendo seguito alla sua richiesta cercherò di illustrare in modo preciso il mio punto di vista. La autorizzo a fare uso di quanto le espongo e a sottoporlo a chiunque ritenga utile. Spero di contribuire alla crescita del settore giovanile della nostra arte, il quale mostra ancora un ritardo rispetto ad altre discipline in quanto a diffusione sul territorio e definizione di caratteri specifici.
Daniele Pinzuti 


Foto dell'Evento 
 
Sabato 29 marzo 2014
 
Ad inizio stage il M° Zucco ci comunica che noi partecipanti faremo da osservatori alla lezione che il M° Cozzi terrà ai bambini.

A dire il vero le informazioni sono scarse, ma alla fine è confermato il programma inviato ai dojo. E' normale che delle difficoltà organizzative siano difficili da evitare, ma niente affatto ammissibile è invece la disorganizzazione che si verifica in seno alla stessa lezione dei bambini, essendo questa il fulcro dell'incontro.

Il M° Cozzi è in evidente e comprensibile difficoltà di fronte ad un numero elevato di bambini, che peraltro rappresentano fasce d'età disomogenee. Egli stesso chiede in sordina l'intervento di qualcuno dei presenti per supportare il suo lavoro, ma in questo senso il M° Zucco non mostra alcun avallo, ne consegue che coloro che si prestano lo fanno con malcelato imbarazzo ed infrangendo un divieto, ciò in serena contraddizione con quanto più avanti sosterrà il M° Zucco a proposito della coerenza dei segnali. 

Tale scorretta impostazione dà il via ad una serie di errori che si propagheranno nei due giorni, basati sul frainteso ruolo del M° Cozzi, il quale tiene la lezione, e dunque dovrebbe rappresentare il referente primo sul tatami, ma che finisce in realtà per trovarsi in una situazione dal profilo ambiguo e difficilmente gestibile.

E' evidente che il suo lavoro, per esprimere tutte le qualità che gli sono proprie, ha bisogno di una serie di pre-requisiti che sabato non vengono del tutto soddisfatti e domenica solo in parte: i bambini sono troppi e non c'è alcuna suddivisione per fascia d'età, alla lezione partecipano troppi osservatori e alla fine per paradosso anche troppi maestri.

Ora, che tali pre-requisiti siano disattesi, e che manchi una puntuale analisi delle due lezioni da parte del M° Zucco, animatore della discussione seguente la pratica, lascia presumere che il ruolo del M° Cozzi sia improvvisato e decontestualizzato e che lo stesso M° Zucco o non consideri centrale la dimostrazione pratica svolta o non sia preparato a decodificarne il senso. Peccato perché a mio avviso le  lezioni restano la sostanza di due giornate complesse e a loro modo interessanti.

Restiamo a sabato. La invito a ricordare, partendo da questi presupposti, l'episodio nel quale il M° Zucco si immette nella lezione, pur essendo stato fino ad allora esterno al contesto, e allontana tre bambini dal gruppo,  per un comportamento che evidentemente ritiene inopportuno. Non intendo discutere se l'azione sia commisurata alla circostanza, ma vorrei osservare che rappresenta un'intromissione nella lezione del maestro presente, ossia un nuovo corto-circuito comunicativo.

Il gesto è diseducativo dal momento che delegittima agli occhi degli allievi la figura di riferimento, ne espropria l'autorità e la attribuisce ad un elemento esterno.

In più non può essere giustificato perché posto in essere dalla stessa scorretta composizione del gruppo, numeroso e disomogeneo. Non si pretende un comportamento retto da bambini cui non si forniscono i presupposti per attuarlo.

In questo quadro confuso si pone pure l'improvvisata, quindi inappropriata, presenza degli ausiliari del maestro. Essi non conoscendo a fondo lo stile del M° Cozzi e non avendo  ricevuto indicazioni in proposito, si comportano come meglio credono. 
Con quale risultato? 

Da un lato abbiamo il M° Cozzi
che interviene poche volte a manovrare il corpo dei bambini, preferendo mostrare col proprio esempio le movenze e lasciando loro la possibilità di sperimentare. In più se proprio necessita una forma di conduzione, predilige collaborare come uke, cioè accetta di ricevere quanto poi desidera far provare al proprio compagno. Mostra molta dimestichezza con il pudore dei bambini e con la loro possibile diffidenza, facilitando la comunicazione con un linguaggio e una prossemica efficaci, presentati con gesti e toni leggeri, rassicuranti e se necessario comici, avendo sempre cura di abbassare la postura al livello degli allievi.

D'altra parte le cinture nere che
provano ad aiutare, pure in buona fede, sono sempre troppo erette, tese ad evitare incidenti, pronte a correggere manipolando le movenze dei bambini, ma mai loro per prime a disposizione per ricevere o mostrare mettendosi in gioco.

I collaboratori restano ai margini, non solo per mancanza di una sensibilità analoga a quella del M° Cozzi, ma anche per la loro impreparata presenza sul tatami, che non consente di ambientarsi e neanche di presentarsi con educazione ai bambini, così come vorremmo che imparassero a fare poi loro stessi.

Emblematico in questo senso che nessuna rilevanza sia stata data all'interessante gesto del M° Cozzi di portare, ad inizio lezione, i disegni dei bambini del proprio dojo, al fine di introdursi con empatia fra i nuovi allievi.
Si è qui persa un'occasione per capire come un buon principio stabilisca il clima adatto e quanto non sia consigliabile inserirsi in corso d'opera.

Il dibattito che segue tiene in scarso conto la lezione appena vista e si riduce ad un monologo del M° Zucco dai contenuti confusi e poco strutturati.

A questo punto mi corre l'obbligo di sottolineare come egli abbia delle evidenti difficoltà espositive, un eloquio fatto di continue cesure, concetti  iniziati e  di rado completati. Mi domando quale sia il motivo di un simile modo di procedere.

Mi è parso di avere inteso che fosse da ricondurre alla funzione introduttiva del seminario, ma  osservo come egli si sia mosso solo sulla linea delle dispense inviate ai dojo e scaricabili sul sito dell'Aikikai d'Italia, e faccio notare che per leggere le quindici pagine che le compongono (escluse le foto e la discutibile "preghiera") siano sufficienti tre minuti, a seguito dei quali si può passare ad un approfondimento delle singole voci.

Per chi ha viaggiato molti chilometri per partecipare allo stage la cosa rischia di apparire una perdita di tempo. Personalmente a questo punto avrei preferito uno spazio maggiore per un dibattito aperto, considerate le molteplici esperienze presenti, ma tutte le volte che qualcuno prova a sollevare una questione, il M° Zucco (che tra l'altro sta in piedi ed eventualmente esercita delle posizioni di guardia o fa dello stretching mentre noi siamo seduti) riprende la parola e riconduce al proprio punto di vista.

La invito a verificare il tempo speso dal M° Zucco a parlare con quello usato dai presenti nel complesso e a domandarsi se non sia insolita una tale assenza di dibattito e una totale conformità di pensiero.

Comunque fra le altre cose l'ho ascoltato liquidare la questione dei bambini con deficit attentivi, che semplicemente, dice lui, vanno accolti come gli altri. Questa affermazione  è ambigua dunque rischiosa, intanto perché come si accolgano gli altri non viene chiarito, e poi perché risulta in controtendenza rispetto ad una letteratura specialistica che o ci si sforza di conoscere o si rifiuta, facendo un passo indietro ed ammettendo con onestà il proprio disinteresse ed essere educatore.

E' preferibile in ogni caso evitare di affrontare con leggerezza e approssimazione temi che sono il disagio di molte famiglie o usare la generica retorica dell'accoglienza troppo vaga per essere di alcuna utilità ad aspiranti formatori.

Ancora ho ascoltato il M° Zucco dichiarare di aver soppresso un corso di dodici bambini, per il motivo che essi avevano preso il sopravvento, chiedendogli solo e sempre di giocare.

Tolto il fatto che ad un istruttore dovrebbe essere chiaro che pratica educativa e gioco si compenetrano, in una tale affermazione si palesa l'ennesima contraddizione rispetto al sostenere che un corso di aikido per bambini sia una grande responsabilità. Certo un incarico si può rifiutare, ma sarebbe opportuno ammettere la propria incompetenza gestionale ed evitare, se si ha un po' di onestà intellettuale, di attribuire la colpa del fallimento dell'esperienza alle naturali e legittime propensioni di un gruppo di bambini. Questo mi pare si possa intendere come senso di responsabilità dell'educatore.

Mi permetta di rilevare inoltre, dal momento che ho citato le dispense del M° Zucco, che ad oggi nessuno che voglia affrontare un dibattito serio su un tema articolato come l'educazione attraverso il movimento, possa permettersi di presentare pubblicamente le proprie tesi senza il supporto di una bibliografia verificabile. L'autoreferenzialità espone l'intera associazione.

Nel poco tempo rimasto i partecipanti sono stati invitati a provare alcune andature di corsa e alcuni esercizi sull'appoggio podalico. L'impressione è di qualcosa di improvvisato,  non strutturato e dalle finalità non chiare. Nel complesso ciascuna parte della giornata rimane  slegata dalle altre. 
 


Domenica 30 marzo 2014
 
Il problema del sovrannumero a lezione si risolve grazie al fatto che è domenica mattina, a volte il caso sopperisce all'inefficienza. Quindi la lezione è più gestibile e il rapporto di circa due bambini per yudansha, al contrario di sabato, in questo caso risulta squilibrato a favore dei maestri. Ma il tema tecnico della relazione numerica che è opportuno corra fra insegnanti e allievi non viene neppure sfiorato.

Solamente due gli interventi del M° Zucco. Il primo consiste nell'avvicinare uno dei bambini in difficoltà mentre tutto il gruppo sta provando delle capovolte in avanti. Il maestro si posiziona dietro di lui, lo solleva per le caviglie e lo invita a portare il capo verso il petto per agevolarlo nella capovolta. Il bambino non riesce nonostante i reiterati inviti e percorre, sospinto dal M° Zucco, l'intero tatami in appoggio sulle mani, nella posizione della “carriola”.

In ciò mi permetto di rilevare almeno due errori: il primo è di portare a sé il bambino, isolandolo dagli altri, invece di affiancarlo nel gruppo, lasciandolo rotolare come può e sostenendolo in modo meno invasivo; il secondo sta nel perseverare in una manovra palesemente infruttuosa e scorretta. Un bambino che non riesce a fare una capovolta, difficilmente potrà farla se in più lo si mette in uno stato dall'equilibrio precario e faticoso, fuori dal suo controllo e nelle mani di una persona che incontra per la prima volta.

Da quella posizione inoltre, per il maestro, è difficile rilevare se il bambino mostri sul volto segni di disagio o insofferenza, dall'esterno posso dire che non mi sembrava fosse disteso e sorridente.

Il secondo intervento del M° Zucco è quello della "giostra premio", simpatico diversivo se non fosse per il fatto che le forze di una bambina di circa sei anni vengono sovrastimate e la "giostra" è chiaramente troppo grande e troppo veloce per lei. Risultato: la bambina finisce faccia a terra, si spaventa e scappa dalla madre.

Nulla di eccezionale, ma possibile spunto per parlare del tema della corretta interpretazione delle capacità in base alle fasce d'età, che rientra fra le competenze di un istruttore; oppure occasione di trattare dell'opportunità di lasciare che i genitori assistano a tali scene con il loro eventuale carico di apprensione, forse immotivato, ma con il quale si potrebbe avere a che fare nella pratica reale e che potrebbe portare ad incomprensioni e conflitti che bisognerebbe essere preparati a gestire  nella veste di istruttori. Tutti argomenti taciuti, non esplicitati né tantomeno posti in relazione agli accadimenti reali.

A fine lezione c'è l'overtone cui tutti partecipano anche se con comprensibile imbarazzo. Non so se c'è stato modo di raccogliere i pareri del pubblico presente, ma posso testimoniarle di una persona che non ha affatto gradito il modo in cui il M° Zucco li ha invitati.

In effetti anche a me varie volte è parso piuttosto sgarbato. Comunque tutti partecipano, io tengo gli occhi aperti e osservo che anche i bambini vocalizzano, divertiti da un'esperienza affatto nuova.

Dopo cinque minuti (tanti per chi non ha mai praticato) il promotore si rivolge ai bambini chiedendo cosa abbiano sentito, ma non presta molta attenzione alle loro risposte perché gli preme aggiungere che l'overtone non è riuscito tanto bene, e che possono al più avere udito le risa dei compagni.
Uno dei bambini prova a dire di aver sentito un'orchestra, ma non è dato alcun seguito alle sue parole.

Il commento del maestro è svalutativo e sarcastico anche se parla con dei principianti. Ciò contraddice qualsiasi indicazione sul modo, positivo ed assertivo, di sostenere i tentativi di un esordiente. Per chiudere si prodiga in una illustrazione dei risultati di un corretto overtone fortemente immaginifica, con riferimenti a violini, flauti (notare che un bambino aveva detto "orchestra") e voci recitanti, forse un po' prematura e ambigua per i presenti.

In seguito il M° Zucco invita i bambini ad andare in un'altra sala a fare dei disegni che chiede   vengano mostrati a tutti dopo l'incontro con i genitori. In effetti più avanti egli dimenticherà la richiesta fatta, che gli verrà ricordata da uno dei presenti. Quando si tratta con i bambini conviene fare attenzione a certe cose, dato il valore che loro stessi attribuiscono giustamente al loro operato.

Segue l'incontro coi genitori, in cui tutti ascoltiamo il M° Zucco. E' quantomai curioso l'uso del termine "incontro" sulla locandina dello stage, visto che nei quindici-venti minuti di durata complessiva di questa parte, due sole persone prendono la parola per tre minuti al massimo; per il restante tempo non una volta il maestro esorta gli altri ad interagire essendo preso ad esporre il proprio punto di vista.
Più propriamente la cosa si sarebbe potuta definire “conferenza”, “relazione” o al più “soliloquio” se l'uditorio finisce per essere distratto.

Se poi le parole del M° Zucco sono da considerarsi quelle dell'Aikikai d'Italia, a mio avviso si faccia molta attenzione a giustificare, ad esempio, poco comprensibili tirate contro la scherma, sul detrimento della figura del maestro d'armi. Magari il M° Zucco dovrebbe leggere le numerose ed eccellenti pubblicazioni a cura della FIS intorno all'educazione attraverso la scherma, e incontrare realtà schermistiche fatte di passione e partecipazione, prima di esprimere simili giudizi.

Poi, sempre se egli esprime la posizione dell'Aikikai d'Italia, dovrebbe credo esimersi dall'affermare, in sede di colloquio coi genitori, che egli stesso è grato a suo padre solo per la vita ma è più grato ai suoi maestri per l'arte che gli hanno trasmesso, se non altro per una questione di buon gusto.

Infine, ascoltando l'unico intervento di una madre che riporta le sua difficoltà nell'impartire un'educazione al proprio figlio rispetto al tema della violenza, non è ammissibile che il maestro risponda: "Se tu mi picchi non hai ragione". Ciò è banale e disonesto (e aggiungerei che ha un gusto inopinatamente messianico come d'altra parte la “preghiera” nelle dispense) e non risponde affatto alle richieste della signora, figuriamoci a quelle del figlio in questione: provi in effetti il maestro a rivolgere questa considerazione ad un ragazzo vessato dai coetanei.

Sarebbe meglio in questi casi ammettere la poca conoscenza della realtà di cui si tratta, lasciando più spazio alle parole dei presenti che la vivono nel quotidiano, e più in generale sarebbe meglio mostrarsi più umani e meno “spirituali”.

In effetti l'unico altro a parlare è stato un maestro del posto che ha provato a portare un contributo di esperienza personale in tal senso. Le sue parole ruotavano intorno ai temi della leadership e del suo tentato ruolo di riferimento nel contesto disagiato di una scuola di quella zona, ma lo spunto non è stato sviluppato.

Chiudo riportandole ciò che ho notato durante l'ultima parte del corso rivolta ai soli aikidoka. 

Veniamo invitati dal M° Zucco a stare in seiza ad occhi chiusi e ad ascoltare il battito del cuore in varie parti del corpo, senza dare alcuna spiegazione sulla funzione di tale pratica  nell'educazione e soprattutto senza verificarne i risultati con dei veri bambini piuttosto che con noi adulti (ricordo ed esempio che Piaget parla di forme mentali diverse per diverse fasi della vita). Nessuno d'altra parte fa domande. Poi ci chiede di chiudere gli occhi e visualizzare un'immagine piacevole...e giù prati verdi, sorrisi di fidanzate e cieli blu.

Al che il M° Zucco racconta di una bambina la quale dopo lo stesso esercizio dice di non aver visto niente, quindi ci domanda allusivo cosa proviamo noi nell'apprendere di una tale risposta da parte di una bambina: qualcuno risponde "tristezza", il M° Zucco annuisce, e io penso di essere di fronte ad un episodio di pregiudizio e ignoranza.

Una valutazione dal taglio psicologico amatoriale, fatta in sede ufficiale da persone incompetenti, legittimerebbe me a dire che le immagini evocate dai compagni di quel giorno siano altrettanto se non più tristi, perché artefatte e condizionate da ossequioso formalismo.

Magari indicare la fascia d'età della bambina avrebbe contribuito a chiarire che una tale risposta può essere del tutto comune, specie se si ha un po' di dimestichezza appunto con questa diversa forma mentis. Ma credo l'intento non fosse tanto la chiarezza espositiva quanto piuttosto la suggestione.

Sostenere generalizzando, come ha fatto il M° Zucco, senza alcun riferimento culturale e senza la minima ricerca di confronto, che i bambini abbiano paure quali quella di stare immobili o altre simili fantasie, sfiora il ridicolo.

Gran parte dei bambini oggi passa in media otto ore al giorno su una sedia; invitare i loro istruttori di aikido, che essi incontrano un paio d'ore a settimana, a indurli alla pratica dell'immobilità, non si capisce se per affrontare questa fantomatica paura, a me sembra aberrante.

Se poi il tema è quello dell'esercizio di visualizzazione del gesto motorio, sarebbe opportuno  ancora una volta riferirsi alle diverse fasce d'età che il M° Zucco sembra ignorare e considerare come molti autori collochino questa abilità in una fase avanzata dello sviluppo cognitivo.

Non si capisce poi come l'incremento di questa capacità possa essere favorito dal fatto di colorare immagini pre-stampate come quelle di Kung-fu Panda, in ossequio alla tendenza invalsa nelle nostre scuole a fornire modelli standardizzati sui quali limitato è il margine di intervento personale. Colorare fotocopie, conformandosi ad un modello fornito, non mi pare si possa considerare un passaggio determinante lo sviluppo e la manifestazione delle potenzialità individuali, fra le quali quella di formare originali ed efficaci immagini mentali, da poter tradurre poi nell'interpretazione di movimenti propri e peculiari.

Una tale mole di errori, disattenzioni ed approssimazioni può rappresentare un grosso limite al corretto sviluppo di un settore delicato come quello della formazione di insegnanti in ambito giovanile.
 
Cordiali saluti

Daniele Pinzuti