Judo

 

 

 

  • Da sempre l'uomo ha dovuto combattere, per la propria sopravvivenza, per la conquista del potere, per lo spirito innato che lo ha spinto a misurarsi con gli altri anche per gioco. Ha saputo creare nel tempo teorie e pratiche di combattimento sempre più efficaci e armate che spesso si sono perse o sono state abbandonate, vuoi per l'evoluzione sociale, che cancella come un vento di follia tutte le tradizioni eroiche e cavalleresche, vuoi per aver preferito un colpo di fucile alla lotta con le mani o con le armi bianche. Basti pensare alla tradizione della spada cinquecentesca ormai dimenticata per lasciare posto allo sport olimpionico, per il quale è più importante la conquista della medaglia e l'affermazione internazionale degli organismi politici che il legame con la tradizione o il codice d'onore dei moschettieri del Re di Francia. È la legge della filosofia occidentale, della non comprensione e della mancanza di equilibrio nelle cose della vita, della eccessiva capillarizzazione e della specializzazione a tutti i costi, sempre al servizio del “progresso”.Il Giappone è tuttavia un mondo a parte che, diviso tra le brutture dei quartieri americanizzati e le piccole case con i tatami di paglia di riso dei vecchi rioni popolari nelle grandi città, mantiene ancora vive le tradizioni della sua cultura non per uno spirito di acceso conservatorismo ma semplicemente per una intrinseca necessità vitale di ogni giapponese. Nella sua analisi del carattere giapponese. Brinkley scriveva: «Nascosta sotto la passione per quanto vi è di aggraziato e raffinato, vi è l'aspirazione alla guerra ed al bagliore dello scontro mortale; e come lo shogun cercava di ostentare agli occhi degli abitanti della sua capitale un delizioso quadro di dolce pace, i giapponesi di ogni epoca hanno amato volgersi dalla scuola di scherma al pergolato, dal campo di battaglia agli scenari rocciosi ed alle cascate, allietandosi dei pericoli e delle lotte dei primi quanto delle grazie e della serenità dei secondi».Una storia a parte, quella giapponese, nella quale non stona la presenza della megaindustria multinazionale accanto a quella dei giardini dei templi buddisti, né il frenetico brulicare delle persone per le strade accanto alla tranquillità ed alla pace che traspare dalle stesse durante la cerimonia del Tè. Si potranno ricercare le cause della presenza di un mondo così diverso forse nella grande durata del medioevo giapponese, nel frenetico evolversi dei tempi in un paese che in meno di due secoli si è dovuto adattare alle società occidentali o, più probabilmente, nella natura stessa di un popolo, spesso a torto considerato intriso di nazionalismo, quasi al limite del fanatismo per le sue manifestazioni che hanno invece una profonda giustificazione storica e morale, tale da non meritare l'accostamento con le follie occidentali che hanno determinato la guerra del Pacifico. Il contributo giapponese alla pratica ed alla teoria del combattimento individuale, con o senza le armi, è certamente tra i più antichi, importanti, raffinati e durevoli, nonostante il grande sviluppo sportivo che la popolarità delle più note discipline di combattimento ha determinato. Il Judo, il Karate, il Kendo, il Ju Jutsu sono ormai adattamenti e derivazioni moderne delle antiche Arti Marziali, ma non hanno completamente abbandonato la tradizione e lo spirito guerriero che li hanno animati e non è difficile trovare oggi grandi maestri che, seppure ai margini di un mondo, sono tenuti in gran conto da tutti e da tutti considerati i depositari di un'arte e di una tradizione che non si vuole dimenticare né trascurare anche nella pratica giornaliera. Accanto allo sport esasperato ed al conseguente adattamento sportivo, per il Judo in particolare, vi è quindi ancora oggi qualcuno che crede nella necessità di praticare e di considerare questa disciplina di combattimento come il mezzo per il raggiungimento del miglior impiego dell'energia ottenuto attraverso l'amicizia e la mutua prosperità secondo quando detto dal suo fondatore Jigoro Kano. Shinken shóbu waza significa "tecniche del combattimento reale" ed è quella parte del Judo ormai dimenticata da chi considera questa arte solo come sport ma che non può essere lasciata in disparte da un Maestro che intende il Judo nella sua totalità, praticandolo ed insegnandolo tenendo in conto i principi fondamentali dettati dal suo fondatore.

 

Shinken shóbu waza

 

  • comprende tutte le tecniche della lotta intesa nella più completa accezione del termine, a lunga distanza attraverso le forme dei colpi portati con le mani ed i piedi, a media distanza attraverso le proiezioni controllate completamente o parzialmente o addirittura senza alcun controllo, a corta distanza attraverso il controllo delle articolazioni (leve) e gli strangolamenti. La varietà delle tecniche è insita in questa parte del Judo proprio perché è appieno rispettata la tradizione dell'arte di combattimento di quegli antichi guerrieri giapponesi che ne hanno fatto la storia e la tradizione: i Samurai.

 

La storia

 

  • La storia del Judo e la storia del Giappone, nei suoi aspetti filosofici, religiosi e sociali, sono tra loro inscindibili. Il medio evo giapponese, prolungatosi per oltre trecento anni rispetto allo stesso periodo occidentale, ha determinato in modo profondo l'evoluzione storica di tutti quegli elementi che contribuiscono alla storiografia delle discipline di combattimento, anche se possiamo trovare nei secoli le stesse leggi storiche che hanno determinato le evoluzioni delle società e dei popoli. Occidente ed Oriente obbediscono tacitamente alle stesse leggi ed i "corsi e ricorsi" non subiscono il fascino delle razze anche se, nel caso della lotta in Giappone, vi sono elementi tali da far sì che si debba parlare in modo particolare di questi argomenti per la spiccata personalità degli interpreti, la cui "moralità" li avvicina ai più prossimi parenti occidentali: i cavalieri della "Tavola rotonda", infatti, per certi versi ci ricordano i Bushi (Samurai), anche se per quanto ne sappiamo non si incontrarono mai. Forse ci fu un contatto dovuto alla presenza della Compagnia di Gesù in Giappone, non pochi infatti gli scritti di Francesco Saverio in lode ai Giapponesi ed alla loro società militare: «Non credo abbiano uguali tra i popoli pagani. Sono molto socievoli, in genere di buon carattere e senza malizia, molto sensibili al loro onore, cosa che stimano più di tutto. In genere sono poveri, ma non reputano vergogna la povertà né tra i nobili né tra la gente comune... Hanno una grande caratteristica sconosciuta ai popoli cristiani: per quanto povero sia un nobile... gli rendono onori come se fosse un ricco... Il popolo ha grande rispetto per la nobiltà, e i nobili a loro volta sono orgogliosi di servire il loro signore e lo ubbidiscono fino all'ultimo. Penso che ciò avvenga non per tema di una punizione che potrebbe essere loro inflitta per la disubbidienza, ma per la perdita dell'onore che ne deriverebbe se essi si comportassero diversamente».Il Bushi quindi deve essere considerato non solo l'artefice della storia della lotta a mani nude o con le armi, ma il personaggio chiave della società giapponese sia durante il periodo della sua diretta influenza sulla vita politica che in seguito, dopo l'apertura del paese all'occidente. Come scrive Richard Storry: «Anche dando per scontato che conoscenza delle arti marziali e coraggio fossero due caratteristiche fondamentali di ogni samurai, sarebbe un errore pensare che non facessero altro che combattere o prepararsi alla battaglia. Teniamo presente che essi furono per secoli la classe dominante, quindi impegnata nell'amministrazione sia a livello locale che nazionale». Dopo la restaurazione Meiji nel 1868 infatti vediamo la trasformazione immediata, l'adattamento quindi alla nuova società; il Samurai si trasforma in uomo d'affari ed ancora oggi grandi famiglie industriali sono la diretta discendenza di quegli antichi uomini d'armi. Le Arti Marziali giapponesi presentano quindi due fondamentali caratteristiche al confronto con le altre tecniche di lotta o di combattimento conosciute: la prima è nella durata del medio evo giapponese e la seconda è che queste arti o tecniche sono passate senza soluzione di continuità dalla fase di utilizzazione pratica nella vita quotidiana del popolo a quella di disciplina sportiva nel volgere degli ultimi cento anni. Per comprendere e meglio valutare l'opera di Jigoro Kano (il fondatore del metodo Judo) ci si dovrà quindi rifare alla storia del Giappone facendo particolare riferimento alle tecniche di combattimento.

 

  • Distinguiamo i seguenti periodi storici: 
  • - Chikara Kurabe no Jidai (età del ferro e del bronzo) 
  • - Sumai no Jidai (età del Sumo, periodo Nara ed Heian: 710-1185) 
  • - Yoroi Kumiuchi no Jidai (età del combattimento con l'armatura, periodo Kamakura e Muromachi: 1192-1573) 
  • - Jiu-Jitsu no Jidai (età del Jiu-Jitsu, periodo Momoyama e Tokugawa: 1574-1867) 
  • - Judo no Jidai (età del Judo, periodo Meiji dal 1868).