Addestrare o Educare 

 

  • Addestriamo Anziché Educare  ... quando non crediamo che ciò che offriamo si accordi alla natura dello studente e che sia da lui desiderato.

Come allevare il bambino piccolo senza viziarlo".

Il gioco che prendo in esame qui si chiama "Allevare il bambino piccolo".

  Alcuni lettori potranno risentirsi del fatto che io definisca un gioco un'impresa tanto seria. 


  • Tuttavia, la serietà con la quale ci si impegna in un'attività non e un criterio per stabilire se si tratti o meno di un gioco. La gente prende sul serio il gioco di una partita se le poste sono elevate.
  • Ciò che rende l'allevamento del bambino una partita è la contesa che si stabilisce tra un genitore ed il bambino. In questa contesa il bambino lotta per preservare intatta la propria natura animale, mentre i genitori combattono per civilizzarlo. È una partita senza esclusione di colpi. Devo dire subito che non tutti i genitori fanno dell'allevamento del bambino il gioco di una partita.
    Diventa una partita quando il risultato viene giudicato in termini di vittoria o sconfitta.

L'obiettivo di un tal gioco è di allevare un bambino che sia accettabile socialmente.

  • Nel mondo moderno questo risultato è incerto: contiene un elemento aleatorio. I genitori che giocano la partita ce la mettono tutta sperando di "giocare bene le loro carte" e di vincere. Sono in palio delle poste che non hanno nulla a che fare con la situazione reale. Vincere, per il genitore che gioca la partita, significa conseguire qualche vantaggio estraneo, qualche compenso o applauso che sancirà la sua vittoria. O anche, nel caso in cui il genitore pensi che perdere significherebbe abbassare la stima di sé, egli considera il processo di allevamento del bambino come se fosse un gioco. Il nome completo del tipo di gioco praticato dai genitori è: "Come allevare il bambino piccolo senza viziarlo".
    I premi in palio sembrano elevati. Il genitore che riesce ad allevare un bambino, buono, obbediente e bene educato, è lodato e riconosciuto dagli amici, dagli insegnanti ed altri rappresentanti della società. Il genitore che non riesce in questo è considerato invece un debole, una persona senza autorità persino a casa propria. "Tu ti lasci calpestare dal tuo bambino": questa frase rivela il disprezzo per il povero genitore che, agli occhi di molte persone, è un poveraccio senza alcun potere. C'è un altro compenso, sottociuto e spesso non riconosciuto, che il genitore
    spera di conseguire: e cioè che il bambino buono sia devoto al genitore specialmente negli anni del declino. Che si senta obbligato a occuparsi del genitore ove questo si ammali o abbia bisogno di assistenza.
    Il gioco viene fatto con un neonato o un bambino completamente all'oscuro all'inizio di quanto sta succedendo. Tuttavia si tratta di un gioco come gli altri, in cui il bambino deve essere battuto strategicamente se si vuole ottenere il risultato desiderato. Il genitore presume, e in questo ha perfettamente ragione, che il bambino opporrà resistenza e che, con l'uso opportuno di premi e di punizioni, la sua resistenza potrà essere superata.
  • I premi usati sono l'approvazione, i giocattoli, le indulgenze e così via. Le punizioni sono le minacce di ritirare l'amore, la disapprovazione, le restrizioni, i castighi e i maltrattamenti fisici.
    Il genitore che usa queste tattiche non pensa che sta giocando una partita. Per questo padre o questa madre i problemi sono reali e serissimi. Il bambino a cui si lasci fare ciò che vuole, nella vita sarà un fallimento, un ribelle e uno spostato e il genitore che teme questa eventualità sente di avere la responsabilità morale di impedirlo. Si sente giustificato nel suo atteggiamento e può persino identificarlo con l'amore.
    Certamente resisterebbe a qualsiasi tentativo volto a fargli capire che in tal modo tradisce una mancanza d'amore per il bambino. Alla stessa stregua, considererebbe il bambino obbediente un bambino che ama e quello ribelle un bambino ostile.
    Cimentandosi in questo gioco si dà prova di mancanza di fede nella natura umana e nel proprio bambino. Se crediamo che il bambino sia intrinsecamente un mostro, un animale selvatico che deve essere domato e frustato per marciare in riga, dobbiamo riporre la nostra fiducia nell'autorità e nella disciplina come nelle uniche forze in grado di assicurare una vita ordinata. Se riteniamo che gli esseri umani siano per loro natura avidi, egoisti, disonesti e distruttivi, potremo far ricorso solo al potere poliziesco o a quello dell'esercito per controllarne il comportamento.
  • Questi atteggiamenti possono apparire eccessivamente severi, ma possiamo essere indotti ad usarli se non abbiamo fede nella vita. La fede implica la fiducia nella propria natura e, per estensione, la fiducia nella natura degli altri. Una persona dotata di fede confida di poter fare da sé ciò che è giusto e ha fiducia che anche gli altri, compresi i propri bambini, possano fare altrettanto. Una persona senza fede non ha fiducia in nessuno.
    Se un genitore non ha fiducia nel proprio bambino, è difficile capire come il bambino possa sviluppare la fede in se stesso o nel suo genitore. La relazione tra genitore e bambino degenera da un rapporto d'amore e di rispetto reciproco in uno di conflitto e di tensione. Ciascuno vede l'altro come un avversario, al quale, peraltro, è legato. Nascono risentimenti che alienano ulteriormente due persone i cui interessi dovrebbero essere comuni. Un genitore vuole vedere il suo bambino felice e soddisfatto e il bambino vuole che il genitore provi piacere per la sua gioia.
  • Questi sentimenti pervadono molte relazioni genitore-bambino che sono basate sull'amore e sulla fiducia. Mancano purtroppo nei rapporti in cui i genitori si cimentano in giochi con gli atteggiamenti dei bambini.
    Senza fede non c'è vero amore. In assenza di fede, l'amore che i genitori offrono ai bambini è condizionato dal comportamento di questi ultimi. L'amore condizionale, implicito nell'osservazione: "la mamma ti vuol bene quando sei un bravo bambino", non solo reca con sé la minaccia della perdita dell'amore, ma equivale davvero a una repulsa del bambino.
  • Difatti, la madre dice che non può amare il bambino così com'è, ma solo se e quando abbandona le sue reazioni spontanee e diviene sottomesso e obbediente. Poiché i bambini sani normalmente mostrano una certa caparbietà ed una certa intransigenza come componente di una consapevolezza crescente di sé, tale atteggiamento da parte della madre costituisce di fatto un riprendersi l'amore. Ma ci sono molti casi in cui l'amore viene veramente ritirato al bambino, quando una madre diventa fredda e ostile per piegare l'intransigenza del bambino. Si tratta di un gioco che non può essere fatto facilmente o alla leggera: è sempre terribilmente serio.
    L'osservazione quotidiana mostra che sono pochi i genitori che non usano questi mezzi per mettere in linea i loro bambini —in linea con il modo in cui essi stessi erano stati allevati — e sono pochi i genitori che non giustificano le loro azioni con le necessità della vita. Un genitore non può darla costantemente vinta al bambino. Un genitore non può consentire che un bambino governi la casa. I genitori sono anch'essi persone, con le loro necessità da soddisfare. Purtroppo queste troppo spesso sembrano in conflitto con i bisogni o i desideri del bambino, e in questo conflitto i bisogni del bambino finiscono per ridursi ad un minimo. Allora, quando il bambino piange, è inquieto, o fa una scenata di collera, i genitori si sentono maltrattati e reagiscono con ira e con ostilità.
  • I genitori che fanno questo gioco vedono sempre il problema come una questione di principio, non di circostanza.
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  •  È una questione di principio il non consentire al bambino di averla vinta. Un bambino può sentire questo antagonismo e reagisce ad esso con un'eccessiva aggressività. Una volta che sono tracciate le linee del conflitto, il risultato della lotta può essere soltanto disastroso. Se i genitori cedono per un senso di colpa o semplicemente per far star tranquillo il bambino, lo viziano. Sentendo la propria debolezza, cercheranno di essere più fermi alla prossima occasione.
  •  Ma il bambino, avendo imparato che può fare a modo suo creando disturbo, contrattaccherà con rinnovato vigore. In queste situazioni, la battaglia non avrà mai fine, poiché i genitori riusciranno talora a sopraffare la resistenza del bambino e altre volte cederanno. Anche per il bambino il problema diventa una questione di principio: per principio si opporrà a qualsiasi richiesta dei genitori. Un bambino che cresca in un ambiente del genere non si forma mai una fede nella vita. Ha imparato che può ottenere ciò che vuole contrapponendo a chi gli si oppone un'abilità strategica superiore e gridando più forte. Ma coloro che gli si oppongono sono le stesse persone del cui amore ha bisogno e tra questi ci sono tutti coloro con i quali desidera essere in intimità. Ha anche imparato come manipolare le persone giocando sui loro senso di colpa ed userà questa tattica quando la sua prepotenza mancherà lo scopo. Il carattere che si forma partendo da queste esperienze, ha una forte venatura sadomasochista, che trasforma in sconfitta ogni sforzo per conquistare l'amore. Ogni sconfitta finirà in una reazione depressiva dalla quale l'individuo si risolleverà quando in lui tornerà la determinazione di agire e vincere. Le reazioni depressive di questa personalità non sono generalmente così gravi, hanno la caratteristica di essere intermittenti, mascherando così la natura cronica del problema. La severità è il solo modo per ottenere una disciplina efficace. Ma ci si può chiedere in quale misura sia necessaria la disciplina con i bambini.
    Il concetto di disciplina come viene usato in questo contesto comporta la punizione se l'autorità del genitore viene sfidata.
  • Quando pensiamo alla disciplina come autodisciplina, questo connotato manca.
  • C'è un'importante differenza tra i due tipi di disciplina.
  • Lo studio di qualsiasi branca del sapere è una disciplina perché chi si dedica al suo studio si sottopone all'autorità del suo insegnante.
  • Diviene un discepolo: cioè uno che seguirà il maestro e imparerà da lui. Ma il discepolo non viene punito se sfida l'autorità del maestro. Può essere mandato via o semplicemente rimproverato. La punizione dev'essere usata quando si cerca di addestrare un animale o una persona ad obbedire ai comandi.
  • L'addestramento e l'apprendimento sono due procedimenti molto diversi.
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  • Addestriamo anziché educare quando non crediamo che ciò che offriamo si accordi alla natura dello studente e che sia da lui desiderato.
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  • Un bambino seguirà naturalmente la strada segnata dai suoi genitori se questa è una strada d'amore, d'accettazione e di piacere.

 

  • Rispetterà i loro valori e si identificherà consapevolmente con essi. Ma affermerà anche la propria individualità e chiederà la libertà di scoprire da solo come stanno le cose. In questo modo imparerà ciò che deve sapere della vita e crescerà diventando una persona matura e indipendente che può stare in piedi da sola.
    La via che seguirà non sarà molto diversa da quella dei genitori. Perché dovrebbe esserlo? Dato che la via percorsa dai genitori è stata per lui una fonte di piacere, non ha alcun motivo di apportarvi dei cambiamenti radicali. Questo è il modo in cui funziona la fede.
  • Un bambino può anche essere addestrato a seguire la via percorsa dai genitori con una utile disciplina. Combinando opportunamente forza e seduzione la sua personalità può essere strutturata secondo il modello voluto dai genitori. Naturalmente, se i premi sono insufficienti o la punizione troppo severa, il disegno può fallire. Tuttavia, ha spesso successo, e il bambino impara a giocare la partita. Sa quale comportamento otterrà l'approvazione dei genitori e quale invece farà loro dispiacere.
  • Farà dunque ogni sforzo consapevole per essere ciò che essi vogliano che lui sia.
    Inconsciamente, si risentirà, nel profondo, della mancanza di fiducia in lui e di accettazione nei suoi confronti, ma questi risentimenti debbono rimanere inconsci se deve stare al gioco. Dovrà reprimere ogni sentimento di ostilità o di ribellione.
    Il bambino che impara a fare questo gioco, apparirà integrato ad un osservatore medio che sa solo osservare gli aspetti superficiali del comportamento senza vedere la qualità della risposta corporea che lo sostiene. Questi non si renderà conto se una persona ha una solida base nelle gambe o nel corpo. Osserverà solo che quel bambino o quel giovane sembra star bene con i genitori e con le altre figure autorevoli, che va bene a scuola e che non mette in discussione la direzione della sua vita.
    Questo bambino apparentemente ben integrato può continuare per anni a giocare la partita di essere e fare ciò che ci si attende da lui. La sua condotta otterrà l'approvazione della maggioranza, ed egli considererà questa approvazione un segno d'amore. Ma presto o tardi, un qualche avvenimento lo porterà alla delusione. La partita improvvisamente perderà significato, anche se lui probabilmente non se ne accorgerà. Sentirà che ha perso l'interesse e la motivazione per continuare il gioco.
    Diventerà depresso ma non ne conoscerà la ragione.

  • La maggior parte delle persone depresse non hanno fatto in realtà l'esperienza della perdita della madre, ma piuttosto, disagi e conflitti nella relazione madre-figlio, che, tuttavia la persona  non li considera come la causa della sua malattia.
    Questi conflitti sono dati talmente per scontati nell'educazione che il depresso non sente di esser stato privato del naturale amore materno.
    Dobbiamo anche ricordare che la reazione depressiva, nell'adulto, è separata dall'esperienza infantile o della fanciullezza da un pericolo abbastanza lungo di comportamento apparentemente normale.
    Egli non si rende conto della differenza tra un funzionamento che appare normale ed un funzionamento sano, più di quanto non sia consapevole del nesso esistente tra la sua malattia e gli avvenimenti della sua infanzia.
    Questa mancanza di consapevolezza porta a un'ingenuità che è propria dell'atteggiamento della persona depressa e costituisce la sua predisposizione alla malattia.
    L'ingenuità deriva da una negazione inconscia dei fatti della vita ed in particolare dei fatti della propria vita, delle proprie privazioni e delusioni.  L'effetto della negazione è di lasciare l'individuo aperto a delusioni analoghe nella vita adulta. L'ingenuità non esclude che la persona mostri una certa astuzia nella vita. Infatti, le due cose spesso vanno insieme, l'ingenuità in questi casi si rivela nei settori in cui opera la negazione, mentre l'astuzia si riscontra in altri settori della vita.
    L'ingenuità non va confusa con l'innocenza.
    Una persona innocente manca dell'esperienza con cui giudicare atteggiamenti o azioni. L'innocente è esposto al disinganno, ma imparerà presto dalla sua delusione.
    L'individuo ingenuo ha avuto l'esperienza di essere stato ferito da una delusione ma ne nega il significato. Inoltre l'ingenuo si espone alla delusione perché non è in grado di riconoscerne la natura. L'ingenuità è una forma di autoinganno a cui è costretta a ricorrere una persona che viene delusa e non può o non si azzarda a riconoscere la verità. In tale situazione si può essere costretti a stare al gioco perché non si hanno alternative.
    Ma, se si sta al gioco, si può finire col pensare che quel gioco sia la vita, che le regole del gioco siano le regole della vita e che il fatto di vincere o di perdere rappresenti il significato della propria esistenza.

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