Psicopedagogia dell'Aikido
Tratto dal libro " Educare con l'Aikido"
di Roberto Travaglini
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- Il contesto didattico aikidoistico potrebbe essere un ottimo «cantiere» in cui plasmare le potenzialità libidiche in evoluzione dell'individuo, grazie alla comunicazione intersoggettiva con un insegnante coinvolto empaticamente.
- Le diverse fasi di sviluppo, secondo il lessico freudiano, vanno dal periodo orale a quello genitale, passando per il periodo anale e fallico:
- se l'energia non si dirige verso l'oggetto gratificatorio (destinato a cambiare nei diversi periodi e corrispondente alle diverse zone erogene), comportando così una scarica del latente desiderio pulsionale, potrebbe restare fissata allo stadio in questione e provocare moti libidici regressivi e relative problematiche di ordine relazionale e caratteriale.
- Una legge psicodinamica vuole in effetti che, se non si risolvono volta per volte le diverse problematiche stadiali, queste continueranno a rimanere vive, sotto forma di nodi del vissuto, nel corso dei periodi evolutivi successivi, finendo per farsi carattere, con possibili manifestazioni nevrotiche o psicotiche.
- A seconda del luogo psichico e fisico in cui l'energia vitale rimane imbrigliata, si possono formare corazze psicosomatiche difensive e compensatorie tali da originare specifici conflitti caratteriali, su cui le analisi bioenergetiche di Alexander Lowen si soffermano attentamente e che possono dare vita, rispettivamente, al carattere orale, masochista, fallico-narcisista, isterico, passivofemminile ecc. Questi caratteri tenderanno a connotare in modo più o meno disadattivo il comportamento psicosociale dell'individuo fortificandosi nel tempo, a meno che il soggetto non vi ponga rimedio.
- In ogni caso il buon andamento del rapporto affettivo con le principali figure di attaccamento, in primis la figura materna (si veda Bowlby, 1989), è fondamentale per costruire solide fondamenta psicofisiche a sostegno di una futura personalità autorealizzata (Maslow, 1971; 1973).
- Anche lo studioso giapponese Itsuo Tsuda, allievo sia di H. Noguchi che di M. Ueshiba, si sofferma
- a lungo sulla particolare delicatezza dei primi periodi di vita del bambino nella relazione fusionale con la madre, necessaria dispensatrice di cure fisiche e affettive (la cui relazione inizia di fatto dal concepimento). La madre può gestire correttamente le prime esperienze relazionali con il figlio grazie all'unico reale elemento regolatore che ha a disposizione: l'intuizione, altrove chiamata anche «empatia» quando riguarda le dinamiche interpersonali.
- Ma come annota acutamente Tsuda - «la civilizzazione ha finito per togliere alle donne questa capacità essenziale di cui la natura le ha dotate » (Tsuda, 1992, pp. 144-145), perché né l'intuizione né il sentire si possono acquisire e potenziare grazie ai tradizionali metodi didattici formalizzati, i quali tendono anzi a spegnere certe qualità relazionali intrinseche.
- Si tratta di una capacità innata, come ormai da tempo sostengono diversi studiosi giunti ad autenticarla sperimentalmente grazie all'apporto delle scienze cognitive e delle neuroscienze: Colwyn Trevarthen (1998), ad esempio, è convinto dell'esistenza delle basi biologiche dell'empatia, di un'«intersoggettività innata» osservabile nei bambini molto piccoli nell'incontro, anche ritmico, con la madre, per la presenza di «adeguamenti autono,mici» da parte di entrambi, ossia di processi di inconscia condivisione anticipatoria tra le loro menti.
- Queste infatti proiettano reciprocamente i loro processi interni e pervengono a spontanee condivisioni di significati.
- Nei primi 20 mesi di vita, nella mente del bambino esiste un «altro virtuale» con cui egli è abilitato, biologicamente e psicologicamente, a entrare in relazione in modo già coordinato e con cui desidera effettivamente comunicare. Egli mette in moto una sorta di «protoconversazione», sintonizzandosi affettivamente e in modo sano con l'altro, grazie al fisiologico mediare dell'attività del sistema simpatico: le risposte del bambino sono di interesse, eccitazione, gioia, in ogni caso sono emozioni positive, cioè il risultato di un generale sentimento di sicurezza suscitato dalla buona relazione instauratasi con le principali figure di attaccamento.
- Capita però che una madre, avendo rimosso il suo naturale interagire empatico, non sia più in grado di sentire il reale stato di bisogno organico e affettivo del bambino e si relazioni con lui con modalità sensibili non adeguate né ai tempi di intervento né alla coordinazione degli spazi relazionali. Ciò può produrre un «attaccamento evitante» da parte del bambino, che tende a rispondere con atteggiamenti di trascuratezza o rifiuto, ovvero con atteggiamenti di ambivalenza o di disorientamento, attivando in modo improprio il sistema parasimpatico (Siegel, 2001, pp. 275-276).
- Uno dei motivi principali di una simile difficoltà relazionale è l'identificarsi da parte della madre in un ruolo sociale che la induce a sostituire il sentire reale con il sentire comune, spesso connotato da stereotipi e artifici convenzionali. La tendenza allora diviene quella di concentrarsi unicamente sull'apporto di cure esterne al bambino, mentre si tralascia il suo sentire profondo.
- Come annota ancora Tsuda:
- Quando i bambini riescono a munirsi di una facciata abbastanza presentabile, si crede che tutto il lavoro sia finito. Tutto questo non riguarda che la superficie esterna degli esseri umani. Di quello che accade all'interno, invece, non sappiamo alcunché perché esula dal campo della nostrapercezione cosciente. (Tsuda, 2000, p. 52)
- Si tenta di costruire intorno al bambino una buona «superficie», un falso involucro - un «falso sé», direbbe Winnicott (1989) -, ma così facendo gli si negano molte naturali espressioni libidiche che sorgono dall'intimo: spesso i moti aggressivi spontanei del bambino, funzionali a certe età (in particolare durante la fase anale) per sperimentare la propria vitalità espansiva e per verificare i suoi reali limiti di espressione energetica verso un ambiente di cui il piccolo vuole testare il grado di tolleranza e contenimento, sono moti di fatto inibiti e negati da atteggiamenti educativi illusoriamente socializzanti.
- L'adulto troppo raziocinante tende spesso a interpretare la naturale forza espansiva del bambino come un'espressione disturbata e disturbante, da correggere con mezzi direttamente o indirettamente coercitivi. I rischi di deprivazione creativa sono reali.
- Afferma Lowen:
- Punire un bambino per aver espresso la sua rabbia può essere considerato un modo di insegnargli il comportamento sociale, ma ha l'effetto di spezzare lo spirito del bambino e renderlo sottomesso all'autorità . (Lowen, 1994, p. 98)
- Certe culture più sensibili a questi aspetti evolutivi del carattere sono maggiormente disponibili di altre a tollerare il processo, anche aggressivo, di socializzazione del bambino.
- Ad esempio, nella cultura tradizionale giapponese, il bambino non viene sottoposto a controllo fino all'età di 6 anni, dato che il suo comportamento fino a quell'età è accettato come naturale e innocente. (Lowen, 1994, p. 98)
- Si è costruita una falsa immagine culturale del concetto di aggressività , concetto che anche nelle fonti linguistiche ufficiali è spesso inteso come «impulso pulso che provoca comportamenti minacciosi o violenti», benché il termine sia correlato anche ad altri significati più positivi come «desiderio o tendenza all'autoaffermazione».
- In realtà bisogna tenere conto che à dgredi, anche da un punto di vista psicodinamico, non è altro che « avanzare verso» l'oggetto gratificante dietro la spinta di una passione profonda; il problema è che questo moto realizzativo proveniente dall'Es spesso si scontra con le dure pareti inconsce di una rigida struttura superegoica codificata dall'Io, in risposta alle relazioni coercitive con l'ambiente: è questo il caso in cui l'impulso, non soddisfatto, può anche trasformarsi in forze minacciose e distruttive.
- Al di sotto dell'elastica membrana periferica dell'Io, grazie alla quale si comunica con l'esterno e si è consapevoli del proprio agire, le persistenti costrizioni educative, identificabili nel Super-io, producono stati di rigidità profonda di non facile coscientizzazione, contro cui l'impulso rimbalza per regredi, cioè per tornare indietro e venire frustrato.
- La spinta energetica dell'istinto vitale trova nella formazione della struttura inconscia del Superio un ostacolo paralizzante, che delude il compimento dell'azione sana e gratificatoria dell'impulso.Già all'origine della vita, l'assenza di un adeguato atteggiamento relazionale della madre verso il bambino potrebbe imporsi come un Super-lo castrante e creare brusche frenate nei processi di libera espressione libidica, arrestando la carica bioenergetica del suo lo in uno spazio-tempo orale, anale o fallico: la madre sollecita il piccolo, con modalità non verbali, a strutturare specifiche forme caratteriali che testimoniano la mancata sublimazione creativa di certi fondamentali aspetti del Sé.
- Il rischio è che la fissazione energetica possa motivare l'individuo a ricercare per tutta la vita, sotto altre forme sociali, simboliche e convenzionali, l'oggetto a suo tempo mancato, in modo per lo più compulsivo e deludente.
- Si faccia il caso del carattere orale, originatosi in seguito a una ferita affettiva subìta durante lo stadio orale, cioè la prima fase della vita che termina intorno ai 18 mesi di età : il bambino, e un domani con buona probabilità l'adulto, cerca di attirare con toni narcisistici l'attenzione- su di sé in modo spesso ostentato, per compensare inconsciamente un'interiore sensazione di vuoto e di diffusa ipovitalità .
- Il suo corpo testimonia questa carenza con modalità morfologiche e posturali intente a richiedere affetto e attenzione: l'ipotonia generale del soma (nello sterno depresso, nel ventre privo di turgore, nella pelvi contratta, in gambe ipotrofiche ma rigide per compensazione, in muscoli della schiena ugualmente rigidi ma deboli, ecc.) esterna un perenne bisogno di sostegno e di conferme da parte dell'ambiente relazionale.
- Dietro a queste manifestazioni sintomatiche sembra celarsi l'inibizione delle forze aggressive, destinate a mutare la loro espressione per invertire il corso di un naturale orientamento. Invece di «aggredire» la vita per affermarsi, l'Io si difende in modo eccessivo, al punto da vivere in modo negativo i rapporti con se stesso e con il mondo.
- L'atteggiamento «orale» è molto diffuso nella società odierna: non è un caso se, psicologicamente, si esce a fatica dall'infanzia e dall'adolescenza, rimanendo legati all'archetipo materno della fase orale in una società che si abbandona all'incoscienza narcisistica di una falsa e illusoria innocenza, di una polimorfa e confusa pluralità valoriale senza centro, le cui indistinte informazioniarrivano a una mente passiva che assorbe e riceve senza critica.
- È 1'« era dell'accesso» - come la definisce Jeremy Rifk.in - in cui tutto e il contrario di tutto giungono a menti che non sono in grado di discriminare e di distinguere il bene dal male, il bello dal brutto, l'ordine dal caos; in cui tutto si confonde - come nel rapporto con-fusivo con la madre nutrice - e in cui l'indistinto e il rimosso generano angoscia e depressione.
- Se d'altra parte l'energia psichica si fissa o regredisce al periodo anale, stadio psicosessuale compreso fra i 18 e i 36 mesi circa, l'intera struttura psicosomatica risulta particolarmente indurita a causa della permanenza inconscia di un conflitto tra le pulsioni aggressive e i sentimenti teneri; il conflitto di solito genera degli spasmi muscolari profondi, individuabili soprattutto nella zona genitale.
- I tratti cosiddetti «masochisti» del carattere anale appaiono il riflesso di un'educazione inibente e irrispettosa delle necessità «anali» dell'individuo, il quale si è sentito profondamente umiliato nel suo lato più intimo ed è stato impropriamente sottostimato da parte dell'ambiente affettivo originario. Il comportamento lamentevole che lo contraddistingue è volto a ricercare nel prossimo un amore disatteso, tanto che il suo modo di manifestare affetto può palesarsi con opposti atteggiamenti di provocazione ostinata verso il mondo, che a sua volta generano sensi di colpa e sofferenza. Gli inconsci sentimenti di angoscia ché l'individuo masochista vive sono il risultato di una libido ripiegata in sé, di un'aggressività auto-diretta e auto-lesiva.
-  La paura di una forte eccitazione (dovuta all'eventuale risveglio dell'aggressività /sessualità contenuta) induce a trattenere l'energia negli organi pelvici (la pancia è tirata indietro e il pavimento pelvico è sollevato); le fantasie permettono alla tensione libidica di aumentare e all'individuo di rivivere la situazione traumatica di blocco vissuta nell'infanzia. In questo modo può essere mobilitata l'aggressività congelata, che emergendo in certi contesti può anche assumere toni violenti, cui seguono profondi sentimenti auto-colpevolizzanti e auto-punitivi. Il controllo esercitato sulle proprie istanze... aggressive puo evincersi anche dalla presenza di piedi particolarmente contratti con dita molto serrate, dando l'impressione che l'individuo sia saldamente ancorato a terra. Qualora la libido si blocchi o regredisca alla fase fallica, stadio che corrisponde a un'età compresa fra i 3 e i 6 anni e che coincide con il processo di socializzazione primaria, le problematiche legate all'amore ancora ingenuo verso il genitore di sesso opposto (complesso edipico o di Elettra, a seconda che si tratti di un bambino o di una bambina) possono comportare la formazione di un carattere «fallico - narcisista» nell'uomo è«isterico» nella donna. In entrambi i casi i soggetti sono «fallici», ossia particolarmente aggressivi verso la dimensione sociale, e cercano in modi diversi (ora impositivo - maschile, ora seduttivo-femminile) di esprimere il proprio potere sul mondo, contrastando la dimensione affettiva. Se l'uomo,, la cui struttura somatica si presenta piuttosto forte e contratta (il torace è pieno, in posizione inspiratoria, le spalle ampie e quadrate, le mascelle contratte, ecc.), è volto al successo socio-professionale e a posizioni di potere e comando, in realtà la sua spinta arrivistica nasconde la paura del fallimento e una notevole rabbia inespressa sia verso la figura materna, che non si è riusciti a conquistare in epoca edipica, sia verso il padre, il rivale contro cui inconsciamente si lotta. Altrettanto avviene nella donna «innamorata» di un padre il cui amore è stato disatteso che, rifiutata, cerca di conquistarlo con un atteggiamento sessuale invadente, cioè con modalità seduttive mascherate o esplicite rivolte per riflesso alla dimensione sociale, tanto da farsi carattere. L'invadenza psicosessuale nasconde in realtà lo scopo di difendersi dalla sessualità amorosa rivolta versò il padre e, per estensione simbolica, verso gli altri: le emozioni legate alle spinte libidiche sono così forti che, se si risvegliassero, produrrebbero un'angoscia insostenibile e provocherebbero una conflittualità inconscia, registrata dal corpo, tra emozioni contraddistinte: o tenerezza, osservabile nella metà superiore del corpo sottile e rigida; o sessualità , racchiusa nella parte inferiore del soma, particolarmente sviluppata, carnosa e morbida, ma contratta perché vi è bloccata tutta l'energia. L'aggressività infatti, essendo racchiusa in questa zona, non è conscia, visto che la persona rimane sorpresa quando le si fanno notare le caratteristiche aggressive delle sue azioni, mentre la parte superiore del corpo è circondata da un'armatura difensiva, soprattutto nella parte anteriore, che limita la respirazione e produce angoscia. La successiva fase di latenza, che va dai 6anni alla pubertà , è un periodo in cui, secondo l'ottica freudiana, i moti libidici sono acquietati e le tensioni dello sviluppo riguardano più che altro un progressivo processo di maturazione e socializzazione delle condizioni psico-sessuali pregresse, nell'attesa di entrare in una fase di piena maturazione psicofisica, coincidente con il successivo periodo genitale, che riguarda l'adolescenza e l'età adulta. La socializzazione secondaria costituisce l'onda libidica che muove l'adolescente a ricercare gruppi extrafamiliari cui omologarsi, allo scopo di superare (insieme con gli altri) il, diffuso conflitto intrapsichico che egli e i suoi pari tendono a vivere tra il passato infantile e il mondo adulto, fatto di responsabilità allargate e caratterizzato da una raggiunta maturità emotiva. Tale conflitto è uno degli agenti psicologici principali che induce il ragazzo a enfatizzare certe intime tensioni del vissuto e a riproporle nel sociale, spesso in termini disadattivi e disagiati. Problematiche orali, anali o falliche non risolte possono dar vita: a moti gruppali di bullismo e di vittimismo riflesso; a sfide con notevoli componenti autolesive; a esperienze inconsciamente autodistruttive, come la tossicodipendenza o l'alcolismo, o averi e propri tentativi di suicidio; a «bravate » devianti che, nel peggiore dei casi, possono divenire atti di mera criminalità minorile, sfidando in termini antisociali i codici adulti, etici e legislativi della collettività accogliente. L'adulto è pertanto percepito come l'esempio da emulare, ma al contempo il nemico da abbattere e sostituire: i moti si fanno ambivalenti e intimamente tormentati, e l'adulto dovrebbe avvicinarsi al giovane con una ferma tolleranza relazionale, mettendo con la dovuta affettività dei limiti al suo agire spesso disorganico e dando indicazioni orientative al suo probabile disorientamento. Il quadro finora presentato, articolato lungo il doppio canale dello sviluppo delle tendenze cognitive da una parte e delle tendenze emotivo-affettive dall'altra, si inserisce all'interno di una più allargata prospettiva che lo vede porsi a fianco di una didattica pensata a misura d'allievo, possibile se ci si rende flessibili al mutare dei singoli comportamenti individuali: oltre alle conoscenze relative allo sviluppo ontogenetico, non vanno trascurate quelle relative alle specifiche particolarità dell'individuo. L'insegnante dovrebbe imparare a relazionarsi con l'alunno toccando sapientemente sia i suoi aspetti individuali, in modo da fare leva sulle sue peculiarità comportamentali, sia i suoi aspetti generali di sviluppo biopsicologico. Chi insegna aikidó, al fine di mettersi in comunicazione empatica con gli allievi e di creare una funzionale condizione di ai-ki, dovrà rapportarsi al singolo e al gruppo padroneggiando questo complesso modello relazionale , grazie al quale sarà possibile interagire sia con le singolari caratteristiche psico - comportamentali degli alunni, sia con le loro dinamiche evolutive generali, le une e le altre strettamente interdipendenti.
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