Pedagogia Nera
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La storia dell'infanzia è un incubo dal quale solo di recente abbiamo incominciato a svegliarci".
E in effetti più si va indietro nel tempo, più frequenti sono le storie cupe di maltrattamenti, terrore, abbandono. Per molti secoli si è ricorso soprattutto alla "pedagogia nera", cioè a un'educazione che si basava sulla violenza fisica e sul castigo. È vero che Quintiliano (I secolo d. C.) riferisce che i pedagoghi romani si affidavano soprattutto alla classica tirata d'orecchie, ma sappiamo anche che fin dall'antichità uno dei mezzi più utilizzati fu quello, senz'altro più doloroso, della fustigazione. «Persino nella progredita Grecia di 2.500 anni fa gli insegnanti usavano la verga come strumento di correzione» . Platone e Orazio, insomma, furono frustati dai loro precettori.
SFERZANTI.
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Ma l'epoca più dura per l'infanzia fu forse il Medioevo. Gli ecclesiastici, cui era delegata l'educazione attraverso i precettori e nei monasteri ricorrevano alla fustigazione per instillare nei bambini e nei ragazzi i precetti religiosi. Nel 1087 frate Ulderico di Cluny (in Borgogna, nella Francia Centrale) così descrisse le usanze dell'abbazia: "Se durante la messa i bambini cantano male o si addormentano, il priore o il maestro toglierà loro la camicia e li frusterà ". Tutta la disciplina monastica era del resto improntata a un quadro di estrema durezza e autoritarismo. Nell'XI secolo Eccardo, cronachista del monastero svizzero di San Gallo, raccontava serenamente che nel 937 gli scolari dell'abbazia, esasperati dalle punizioni, erano giunti a dar fuoco alla chiesa con i fasci delle verghe usate dai monaci per fustigarli.
PICCOLI DEMONI.
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«La punizione non era però solo una forma di sadismo o uno sfogo di rabbia». «Era legata alla visione religiosa del tempo, per la quale il bambino era un essere impuro perché figlio del rapporto sessuale». Ovvero un piccolo demone la cui volontà doveva essere piegata attraverso le punizioni, che per questo erano particolarmente dure e crudeli. «Oggi l'infanzia viene interpretata come una delle fasi più felici della vita, ma nel Medioevo era considerata un periodo da cancellare». «I bambini venivano bastonati, presi a sberle, soprattutto fustigati: le botte erano la conseguenza delle azioni sbagliate e dovevano forgiare il carattere e "ammaestrare" i piccoli. A guidare genitori, insegnanti, vicini di casa e ministri di Dio era la severa legge biblica».  La credenza nella colpevolezza morale del bambino affondava infatti le sue radici nei testi sacri. Nel libro dei Proverbi si legge: "Non risparmiare al giovane la correzione, anche se tu lo batti con la verga, non morirà ". La tradizione giudaico-cristiana giunse al monachesimo attraverso il filtro di sant'Agostino, per il quale ogni bambino era macchiato dal peccato originale. La sua visione dell'infanzia era talmente pessimistica che nel suo trattato La città di Dio affermò che in paradiso non ci sono bambini, mentre nelle Confessioni scrisse: "L'innocenza dei bambini risiede nella fragilità delle membra, non dell'anima. Io ho visto e considerato a lungo un piccino in preda alla gelosia: non parlava ancora e già guardava livido, torvo, il suo compagno di latte". Probabilmente sant'Agostino non ebbe un'infanzia felice (ammise di ricordare quel periodo della sua vita "con riluttanza") ma non tutti i bambini venivano puniti nello stesso modo: la quantità e le forme di punizioni variavano soprattutto in relazione alla classe sociale.
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PRINCIPINI E OBLATINI.
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Durante il Medioevo, tra i contadini, non ci si poneva certo il problema di ricorrere troppo spesso alle punizioni: la vita era dura per tutti. Sul corpo del principe, invece, non si poteva infierire, perché era considerato sacro. Al suo posto però veniva punito il figlio del barone. «Forse i bambini della piccola nobiltà prendevano più botte di altri. «I paggetti a corte dovevano imparare a servire a tavola e a svolgere altri compiti e perciò venivano picchiati regolarmente dal siniscalco, il maggiordomo della servitù». Ma a essere puniti con maggiore durezza erano gli "oblatini", i bambini e le bambine che, dai due o tre anni, venivano donati dai genitori ai conventi per essere destinati alla vita religiosa. In genere erano figli dei più poveri, che speravano così di farli sfuggire alla morte per fame, ma venivano offerti per i motivi più svariati: per essere ricordati nelle preghiere oppure, nel caso delle bambine, per risparmiare sulla dote e conservare intatto il patrimonio. «L'obiettivo dei preti e dei monaci era trasformarli in esseri il più possibile "spirituali"». «Dalle fonti scritte sappiamo che venivano fustigati, presi a schiaffi e che venivano loro tirati i capelli. Le lacrime erano viste in modo positivo dall'educazione monastica, proprio perché sintomo di pentimento e simbolo di purificazione. Per questo il trattamento era pesante, tanto che qualcuno fuggiva». Per meritare queste punizioni bastava davvero poco, anche se qualche volta gli oblatini, come tutti i bambini del mondo, la combinavano grossa sul serio: alcune fonti monastiche del Medioevo raccontano di bambini puniti con la fustigazione sul fondoschiena perché strappavano le pagine dei preziosi manoscritti per farne barchette di carta.
BAMBINE-DONNE
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Le bambine in un certo senso venivano punite meno, ma non certo perché godessero di privilegi: di fatto non erano messe nelle condizioni di poter trasgredire. «Erano sottoposte a controlli più rigidi». «Per tutto il Medioevo e fino all'età moderna era raro che potessero uscire da sole, venivano educate dalla madre ai lavori domestici e abituate da subito al silenzio, all'obbedienza e alla sottomissione. La loro infanzia era talmente breve da non esistere quasi: spesso si sposavano prima dei dodici anni». Ma le punizioni per queste bambine considerate donne diventavano durissime se qualche loro comportamento andava a ledere l'onore della famiglia. «Nel caso migliore venivano rinchiuse in un convento, ma a volte venivano decapitate e il loro corpo bruciato. Per una sorte simile bastava poco, come l'aver guardato in un certo modo un ragazzo, o essere state prese in braccio».
VOCI CONTRO.
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Eppure già nel Medioevo qualcuno metteva in dubbio l'efficacia della violenza come sistema educativo. Per esempio Paolo Diacono, letterato e monaco, che nell'VIII secolo affermò che le botte facevano più male che bene. E anche sant'Anselmo, che nel 1033 annotò: "Noi li picchiamo ma loro peggiorano". Si trattava tuttavia di voci isolate, perché la violenza fisica incominciò a regredire più tardi, quando l'idea di infanzia venne rivalutata. «Avvenne lentamente, a partire dal '400, quando la Bibbia e i testi sacri furono messi a disposizione, grazie alla stampa, di un maggior numero di lettori» . «Fu allora che vennero interpretate diversamente frasi evangeliche come "Lasciate che i bambini vengano a me". L'infanzia divenne l'età dell'innocenza». In questo nuovo clima Erasmo da Rotterdam, che per poco non abbandonò gli studi a causa delle dure punizioni ricevute, alla fine del XV secolo scriveva che i bambini potevano essere educati in modo diverso e che era importante capire la loro indole per aiutarli a crescere. Così la punizione fisica come sistema educativo cominciò a perdere colpi, prima nelle famiglie più ricche e in quelle borghesi, poi via via anche nel popolo. Nel '600, per esempio, nelle famiglie e nei manuali le punizioni riguardarono soprattutto privazioni (del cibo, dei giochi, della libertà ) e una sorta di "psicologia del terrore" : nei catechismi dell'epoca la punizione estrema per il bambino cattivo era l'inferno e il suo fuoco bruciante.
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IN COLLEGIO.
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Se nelle famiglie si ridimensionarono, le punizioni fisiche non vennero meno nelle istituzioni, in particolare nella scuola. In Gran Bretagna, per esempio, durante l'età elisabettiana, alla fine del '500, erano molto dure. Nel Nord Europa, fino all'inizio del XX secolo, l'uso del frustino era una pratica inseparabile dalla disciplina di qualsiasi scuola, soprattutto nelle istituzioni più rinomate, come il collegio inglese di Eton. «Lo strumento utilizzato era la ferula, un attrezzo costituito da un manico al quale erano legate strisce di cuoio o piccole funi». «La punizione avveniva davanti a tutti perché a essere trasgredito in questo caso non era più il codice morale ma l'ordine interno della scuola, e la punizione spettacolo doveva avere un effetto deterrente». A volte le punizioni nei collegi erano talmente severe da provocare la morte dell'alunno. Ed erano talmente diffuse che, a Eton, nella spesa per le tasse scolastiche di ogni ragazzo era aggiunta mezza ghinea per la verga. La pratica della fustigazione era diffusa anche nei collegi femminili delle classi superiori. Del resto è certo che alcune donne sadiche cercassero impieghi come istitutrici per poter indulgere nella loro passione di provocare dolore. Intorno alla metà del XIX secolo, però, la pratica della fustigazione nelle scuole venne abbandonata per l'emergere del pudore vittoriano. In pratica, si cominciò a sostenere che l'esposizione del posteriore nudo fosse indecente e immorale, soprattutto nel caso delle ragazze. L'alternativa della fustigazione sulla schiena o sulle spalle risultava però troppo pericolosa, perché si rischiava di procurare traumi e ferite gravi. Così si passò alle bacchettate sulle mani, una "moda" giunta fin quasi ai giorni nostri. In Italia, infatti, le punizioni corporali nelle scuole (dalle bacchettate all'obbligo a inginocchiarsi sui ceci) sono state proibite solo negli Anni '70.
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BAMBINI FELICI.
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Con l'Ottocento il secolo dell'amore romantico e della conquista del matrimonio fondato sull'amore la famiglia (almeno quella ispirata ai princìpi più progressisti) diventò idealmente un luogo caratterizzato da vicinanza e affetto. Cominciò inoltre a diffondersi l'idea che amare e accudire i bambini fosse fondamentale e che, per educarli, una severa ammonizione fosse più efficace di botte e schiaffi, da utilizzarsi solo come ultima risorsa. Persino il padre, che restava una figura autoritaria, divenne progressivamente meno distante. Poi venne il Novecento, il secolo dei bambini e della pedagogia. Solo allora si affermò l'idea dell'infanzia che abbiamo oggi, come un periodo prezioso, delicato e irripetibile, che pone le basi per il futuro. Dalle punizioni corporali si passò però a eccessi opposti.Nel 1948 un pediatra americano, Benjamin Spock, pubblicò The common sense book of baby and child care (Il bambino nella versione italiana) che vendette 40 milioni di copie in tutto il mondo: consigliava un aperto permissivismo nei confronti dei bambini. Spock stesso in seguito rivide la sua teoria rendendosi conto che un'educazione priva di autorevolezza (se non di un minimo di autoritarismo) può avere effetti altrettanto devastanti. Ma le botte non furono mai riabilitate. Â
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Negli ultimi due secoli l'educazione dei bambini è cambiata radicalmente, grazie a queste figure I chiave della pedagogia:
I Jean-Jacques Rousseau (1712-1778)
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In una delle sue I opere maggiori, L'Emilio, il filosofo francese (pare pessimo genitore) sostenne che il bambino è "intrinsecamente buono" e che l'educazione deve preservarlo dall'influenza negativa della società . L'adulto non deve indottrinare ma aiutare a imparare con l'esperienza.
Maria Montessori (1870-1952)
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Partì dallo studio dei bambini con problemi psichici per poi allargare le sue considerazioni a tutta l'infanzia. Il bambino, sosteneva, è un essere capace di sviluppare energie creative, con una moralità innata e grandi capacità affettive.
Anton Makarenko (1888-1939)
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Visse i profondi cambiamenti politici, sociali ed economici degli anni della rivoluzione sovietica. Per lui l'educazione può avvenire soprattutto attraverso la collettività , dove morale e valori condivisi devono essere prioritari.
Jean Piaget (1896-1980)
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Svìzzero, è stato il primo a comprendere che il bambino non è un uomo in miniatura, bensì un essere con proprie leggi psichiche diverse da quelle adulte.
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