Etichette e Ruoli

Le `etichette' che non si staccano

Tenaci, le gelosie si radicano negli strati più profondi dell'animo, e possono protrarsi fino all'età adulta. Avvelenano i rapporti tra fratelli. Incrinano l'amore che si dovrebbe sentire per i genitori. Sfaldano la solidità e la solidarietà della famiglia. Generano sofferenza e rancore, spesso inespressi per anni ma che, a volte, scompaiono, come d'incanto, quando, finalmente, si incontra il rivale e si riesce a spiegarsi.
Storie esemplari che dimostrano quanto siano tenaci i rapporti che si instaurano fin dalla prima infanzia, e quanto i ruoli che noi, spesso in-consciamente, imponiamo sui nostri figli li condizionino per il resto della loro vita. Come evitare di imporre modelli?

Evitare di imporre ai nostri bambini modelli che non si adattano al loro temperamento è possibile, purché si seguano alcune semplici regole.

1. Accettiamo i nostri sentimenti


È assolutamente normale sentirsi più attratti verso uno dei figli, magari perché il carattere è più simile al nostro, oppure ha delle qualità che abbiamo sempre ammirato, o semplicemente troviamo più facile comunicare con lui. Ma anche l'opposto è vero. Da alcuni bambini, pur amandoli teneramente, a volte ci si può sentire più lontani: non sopportiamo alcuni loro atteggiamenti, e ci infastidiscono alcune spigolosità del loro carattere.È inutile negarlo: fin dalla culla, un bambino può risultare più accattivante di un altro. Il piccolo che piange molto spesso, che non si riesce a consolare, che ci tiene svegli notte dopo notte per ragioni a noi inspiegabili, può suscitare meno simpatia del bebè sempre sorridente, tranquillo e dormiglione.
Accettiamo quindi i dati di fatto anziché intestardirci nel dire che non esistono, e non facciamocene una colpa. Essendone consapevoli, sarà più facile stabilire un rapporto equo con i nostri figli, sapendo che, in realtà, li amiamo per quello che sono.

2. Riconosciamo le diversità

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i genitori che sono severi con se stessi, che cercano di imporsi l'affetto, tendono ad accettare i figli meno di chi invece è piuttosto indulgente verso le proprie simpatie e antipatie. Se un bambino fiuta la particolare inclinazione di un genitore per uno dei fratelli o sorelle, cercare di convincerlo che non sia così distribuendo generiche rassicurazioni non serve: «Per me siete tutti uguali», «Io voglio bene a tutti nello stesso modo». I bambini sanno benissimo di essere diversi, e vogliono essere accettati così come sono. Prendere atto delle differenze ci aiuta ad amare i nostri figli per quel che realmente sono, nel rispetto delle loro caratteristiche, uniche e irripetibili.

Di fatto, comunichiamo che ogni bambino è il preferito proprio per le sue caratteristiche uniche. Ma può succedere anche l'opposto: che cioè attribuiamo una nostra debolezza a uno dei bambini per alleviare il nostro senso di inadeguatezza.

3. Evitiamo di cristallizzare le differenze

Racconta la psicologa americana Elaine Mazlish: «Un giorno portavo il cane a zonzo, quando incontrai la vicina di casa che spingeva orgogliosa i suoi due gemelli nella carrozzina. Era un po' di tempo che non la incontravo. Le feci festa: `Come sono cresciuti i tuoi bambini! Scommetto che parlano di già e che vanno matti per i cani,' dissi, tanto per fare conversazione. `Sì, sì..: farfugliò la vicina. `Ma, vedi? Jo l'accarezza, e Gil si tira indietro: ha una paura matta! Sono così da quando so-no nati. Jo è coraggioso, e Jil un gran fifone!' Mi scusai, tirandomi dietro il cane.Volevo evitare una rissa!» La mamma dei gemelli parla di loro come se non sentissero e non capissero. È un atteggiamento in cui si cade spesso. Anche se i bambini sono molto piccoli e non sanno ancora parlare, percepiscono il tono della voce, si accorgono se li teniamo in braccio con amore o con fastidio, fiutano la tensione o l'attenzione che li circonda. Ma non solo. Già così piccoli, si sentono incastrati in un ruolo che devono impersonare: uno è il coraggioso, l'altro il fifone. I due gemelli sono così incasellati, definiti, cristallizzati in un ruolo dal quale sarà difficile uscire. Succede in molte famiglie: «Marco è il piccolo ingegnere», «Marta, la donnina di casa», «Ludovico, il pasticcione simpatico», «Federica è sempre molto responsabile». Positive o negative che siano, le definizioni bloccano la possibilità di cambiare, di evolversi, di sentirsi liberi, di essere se stessi senza sentirsi costretti a recitare una parte.

I ruoli `inevitabili' a cui sfuggire

Il `grande' e il `piccolo'


Sono i due ruoli che i figli sono costretti a impersonare per inoppugnabili ragioni: un figlio nasce prima dell'altro, e perfino i gemelli non nascono nello stesso momento! Questo fatto indiscutibile quasi inevitabilmente si trasforma in ruolo. Il `grande' è quello che deve essere più responsabile, più paziente, sottoporsi a rinunce per accontentare il `piccolo': non fare rumore perché il `piccolo' dorme, lasciargli il giocattolo perché altrimenti il `piccolo' piange... la storia è conosciuta.
D'altro canto, anche il `piccolo' non ha diritto ad alcuni privilegi: andare a letto più tardi, gestire una piccola somma di denaro, uscire la sera con il papà, avere dei vestiti nuovi...
Cerchiamo di evitare di etichettare i nostri figli in `grandi' e `piccoli'.

• Non utilizziamo mai questi termini, e chiamiamo invece i bambini con il loro nome proprio. `Grande' e `piccolo' sono due termini opposti, dove il primo ha obiettivamente una connotazione più positiva. Lo stesso vale per eventuali alternative come il `maggiore' o il 'primogenito'.

• Evitiamo accuratamente paragoni tra fratelli e sorelle. «Guarda com'è ordinata tua sorella!» Una semplice osservazione come questa crea immediatamente due ruoli: la sorella `ordinata' e quella 'disordinata'. Non stimola l'imitazione, come è nostra intenzione. Il complimento rivolto alla sorella, infatti, genera rancore verso colei che ha saputo catturare l'affetto dei genitori.

• Non colleghiamo l'autonomia, i privilegi o le rinunce al fatto che si sia `grandi' o `piccoli'.

• Organizziamoci in modo che la nascita del secondo figlio non interferisca con la libertà del primogenito. Non costringiamolo cioè a fare da baby-sitter, a rinunciare alla sua stanza o a non invitare a casa gli amici per non disturbare il fratello.

Il figlio mezzo'

Se gli va male, il figlio `di mezzo' dovrà condividere gli svantaggi del primogenito e quelli dell'ultimo arrivato. Ma non è sempre così. Proprio perché è per lui più difficile trovare una collocazione confortevole all'interno della famiglia, tende a rivolgersi all'esterno, diventa più autonomo, cerca il successo a scuola, nello sport, con gli amici. Gli studi condotti dallo psicologo inglese Donald Winnicott dimostrano che il bambino `di mezzo', proprio perché costretto a mediare tra i due estremi, sviluppa più facilmente doti diplomatiche: simpatia, socievolezza ed equilibrio. Per sopravvivere, si deve barcamenare tra alleanze ed esclusioni e, navigando tra i privilegi del `grande' e quelli del `piccolo', può trovare un suo spazio nella famiglia.

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