I No dei genitori

  • Sembra così ovvio che a volte bisogna dire di no, eppure l'opinione più comune è che, se appena è possibile, si debba dire di sì. Esiste una tacita regola secondo cui le persone gentili, a modo, educate e premurose non dicono di no. È una regola presente in tutti gli aspetti dell'esistenza, dall'intimità della casa alla sfera pubblica della politica; perfino la pubblicità proclama "la banca che ama dire sì". Si vedono spesso famiglie la cui situazione di disagio è dovuta in gran parte all'incapacità di dire no.
  • Difficile essere immune a questo problema. Pensiamo che non dicendo di no al momento giusto rischiamo di sottrarre possibilità e risorse a noi stessi e ai nostri cari; ci limitiamo troppo, non esercitando i nostri "muscoli emotivi". Un no non è necessariamente un rifiuto dell'altro o una prevaricazione, ma può invece dimostrare la fiducia nella sua forza e nelle sue capacità. È il necessario corollario del dire sì: entrambi sono importantissimi.
  • È essenziale dire no nel contesto familiare. A seconda delle convinzioni filosofiche, ogni epoca ha dipinto a suo modo l'infanzia e, di conseguenza, il ruolo dei genitori. I bambini sono stati visti come esseri selvaggi da civilizzare (per esempio nel Signore delle mosche di William Golding), oppure come una tabula rasa, del materiale grezzo da modellare. 
  • Nel Diciottesimo secolo il filosofo francese Jean Jacques Rousseau, con la sua immagine del buon selvaggio, li descriveva come esseri naturalmente buoni, a cui sarebbero bastati incoraggiamento e cure per svilupparsi armoniosamente. Negli anni sessanta c'è stato un revival di questa idea con il mantra "All you need is love". Le varie concezioni sono state riproposte ciclicamente nel corso dei secoli e compaiono, con maggiore o minore rilievo, in culture diverse.
  • È inevitabile che le idee sull'educazione infantile riflettano i diversi modi di concepire l'infanzia. C'è stata l'educazione irreggimentata, ispirata a uno stretto controllo da parte degli adulti e alla convinzione che i genitori debbano organizzare e gestire tutti gli aspetti del comportamento dei figli, per esempio per i neonati i ritmi del sonno e la poppata ogni quattro ore. Abbiamo anche provato uno stile educativo più incentrato sui bisogni del bambino, che oggi è il più diffuso. Dopo gli anni sessanta questo approccio liberale ha permeato i nostri rapporti con i bambini, a scuola e in famiglia: ritmo delle poppate regolato in base alle richieste del neonato, un'educazione molto aperta, incentrata sui bambini, il cui esempio più estremo è la scuola di A.S. Neill a Summerhill nel Suffolk. E chiaro insomma che nel tempo le concezioni e gli approcci pedagogici sono cambiati. Oggi non si può dire che predomini un approccio specifico.
  • Non esiste un equivalente della generazione dei "figli di Spock", bambini degli anni cinquanta allevati secondo i dettami del famoso pediatra. Come nella musica e nella moda, non esiste uno stile proprio degli anni novanta. Ci si schiude così uno spazio più creativo, in cui decidere autonomamente; ma per molti genitori questo è motivo di confusione. Quando abbiamo dei problemi, in genere cerchiamo le soluzioni più familiari e a portata di mano. Mi piace citare una storia del ciclo di Mulla Nasrudin, che appartiene alla tradizione sufi, ricco di apologhi divertenti che spesso celano un insegnamento filosofico:
  • Un uomo vide Nasrudin che cercava qualcosa per terra davanti a casa.
    "Cosa hai perso, Mulla?" gli chiese. "La chiave," rispose Mulla. Si misero tutti e due in ginocchio a cercarla. Dopo un po' l'uomo chiese: "Dove ti è caduta esattamente?"
    "In casa." "Ma allora perché la cerchi qui?" "Perché c'è più luce che dentro casa.
    Anche noi, come Mulla Nasrudin, cerchiamo dove c'è più luce.
  • Così continuiamo a girare in tondo, rimuginando argomenti e pensieri ripetitivi e circolari, e non arriviamo da nessuna parte.
    Occorre farsi coraggio, a rientrare in casa  a cercare la chiave dove si può davvero trovarla,  riflettere su sé stessi e sulla propria famiglia in relazione alla capacità di dire no.
    Se comprendiamo il nostro comportamento e l'impatto che ha sugli altri, abbiamo più possibilità di scelta nella vita. 
  • Gli errori che commettiamo, sono lo sviluppo  per il cambiamento.
    Non può esistere una soluzione universale dei nostri problemi; quello che conta è che ciascuno trovi i propri strumenti, il più possibile vari. La crescita e nella capacità di recupero delle persone. Quando veniamo a conoscenza dei problemi di una famiglia, spesso come genitori o come insegnanti abbiamo paura di sbagliare e di rovinare la vita dei bambini affidati alle nostre cure.
    È sempre importante ricordare, però, che le persone sono aperte al cambiamento e che non esistono difficoltà destinate a durare in eterno.

 

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